domenica 29 agosto 2021

Di serie, di storie e di senso




Lo ammetto, sono una purista.

Per me Star Wars è 456, 123 e basta. Ho provato con il resto, ma sia dal punto di vista della messa in scena che dello sviluppo della storia non c'era assolutamente alcunché di cui gioire. Tranne The Mandalorian. E un film, o una saga, che non ti fa gioire e non aiuta a scavare almeno un po' in te, non vale la pena d'essere guardato.

Perciò, data la premessa, i miei sette lettori possono aspettarsi i giudizi seguenti.

Considero l'acquisizione della parte della Disney un passaggio che ha portato alla caduta e al peggioramento della qualità dei prodotti Star Wars (un po' come dopo l'acquisizione di Goodreads da parte di Amazon), soprattutto a perdere il senso di una riflessione sul bene, sull'impegno, sulla rinuncia e sul pervertimento dei propri ideali che rifletteva in maniera perfetta l'apoteosi e il declino dell'impero americano, o dell'occidente.

Vengono sfornati nuovi prodotti che non hanno non dico un senso profondo, ma nemmeno la capacità di risultare d'intrattenimento. 

La Marvel ci ha dato, con la saga ventennale culminata in Avengers - Endgame, una narrazione epica, importante, focalizzata su alcuni principi inderogabili e su elementi di interessante approfondimento psicologico. Tuttavia, mi chiedevo come potessero andare avanti, dopo un'opera di quel calibro. Le serie successive, a mio parere, divergono in modo essenziale. WandaVision è un capolavoro sia dal punto di vista filmico (con meta-testi e riferimenti spiazzanti, colti e intriganti) che narrativo, affrontando con pudore e rispetto il tema della perdita, del lutto, della sopravvivenza alla morte di una persona cara. Credo sia la prima volta che il tema viene assunto e sviscerato così in profondità nella realtà di una serie di questo ambito. (Forse solo Logan ci si era avvicinato).

Invece, ahimè, che troviamo in Loki? Quello che avrebbe potuto essere un interessante e cerebrale gioco diviene un'apologia dell'assurdo, in cui entrano spezzoni di realtà grazie alle voci di protagonisti della NOSTRA realtà nell'inizio dell'ultima puntata. E così la Disney, di nuovo come in altre opere, si mette a farci la morale. E' la stessa motivazione del female-washing  di Endgame, davvero spurio e pretestuoso, con la "carica delle valchirie" (che purtroppo fa miseramente contraltare all'epico ingresso in scena dei combattenti dei mondi), del discorso di davvero troppi minuti di Falcon alla fine di The falcon and the Winter Soldier, del buonismo posticcio di What if.

Ora, come ben sapeva Tolkien un'opera d'arte, un racconto, non devono avere come esplicito obiettivo quello di insegnarti qualcosa, o di farti arrivare a un certo livello di consapevolezza sociale o di adesione a principi e battaglie della realtà. Devono raccontarti una bella storia, e se toccano quelli che sono "gli eterni problemi umani", lo possono fare senza darti la minestrina preconfezionata, ma sollevando dubbi, proponendo soluzioni che i protagonisti scelgono, coinvolgendoti nella loro storia, in cui affrontano dissidi, crisi e questioni che sono anche i tuoi. Ma lo fanno nel loro mondo fantastico, perché se viene meno quel principio di separazione, allora diventa propaganda.

E così, nonostante alcune trovate interessanti e una narrazione da filmone suddiviso in puntate che personalmente ho apprezzato molto e nonostante Bucky (su cui diremo altrove), il momento che avrebbe dovuto essere epico, il discorso di Falcon, fa cadere le braccia, anche per la durata eccessiva e l'assenza di qualsiasi non dico contradditorio, ma elemento di dialogo e botta-risposta o almeno movimento da parte dell'uditorio, che lo rende slegato dalla stessa vicenda che si sta dispiegando; Loki è apprezzabile solo per le battute e le espressioni del protagonista e i suoi siparietti con Clive Owen; What If annoia e suscita sbadigli più spesso di quanto sia tollerabile per un prodotto di questo tipo. Gli elementi più in rilievo non sono quelli che hanno a che fare con la logica interna della storia, motivata dal carattere dei personaggi e dalle loro scelte, che non possono essere insulse o contradditorie (nonostante quello cui hanno abituato decenni di serie tv raffazzonate, delle quali inevitabilmente si salvava sempre solo la prima stagione, dato che il resto era solo continuare per far cassa), ma elementi posticci inseriti per inseguire l'apprezzamento di determinate fasce di persone. Non è una narrazione integrata e scaturita dalla mente e dal cuore di una persona o di un gruppo che ami una storia e ci si sia coinvolto, è marketing. Più o meno come lo sono le serie animate attuali rispetto ai cartoni animati degli anni Ottanta.

A me piacciono le storie, non le storielle, quando mi viene propinato del marketing mi irrito.

E ancora di più se questo porta a perdere la ricchezza e le potenzialità di certi personaggi e intrecci.








sabato 28 agosto 2021

La scrittura del Dio, di Jorge Luis Borges








La scrittura del dio

di Jorge Luis Borges 





Il carcere è profondo e di pietra; la sua forma, quella di un emisfero quasi perfetto, perché il pavimento (anch’esso di pietra) è un po’ minore di un cerchio massimo, il che aggrava in qualche modo i sentimenti di oppressione e di vastità. Un muro lo taglia a metà; esso, benché sia altissimo, non tocca la volta. Da un lato sto io, Tzinacàn, mago della piramide di Qaholom, che Pedro de Alvarado incendiò; dall’altro è un giaguaro, che misura con segreti passi uguali il tempo e lo spazio della prigione. Al livello del suolo, una lunga finestra munita di spranghe taglia il muro centrale. Nell’ora senz’ombra, si apre in alto una botola e un carceriere logorato dagli anni manovra una puleggia di ferro e ci cala, mediante una corda, brocche d’acqua e pezzi di carne. La luce entra dalla volta; in quell’istante posso vedere il giaguaro.
Ho perduto il conto degli anni che giaccio nelle tenebre; io, che una volta ero giovane e potevo camminare per questa prigione, non faccio che aspettare, nella posizione della mia morte, la fine che mi destinano gli dèi. Con il profondo coltello di pietra ho aperto il petto delle vittime, e ora non potrei, se non per magia, alzarmi dalla polvere.


Il giorno prima dell’incendio della Piramide, gli uomini che erano scesi da alti cavalli mi torturarono con ferri ardenti perché rivelassi il luogo dov’era nascosto il tesoro. Abbatterono, davanti ai miei occhi, l’immagine del dio, ma questi non mi abbandonò e io rimasi silenzioso fra i tormenti. Mi lacerarono, mi spezzarono, mi deformarono, e infine rinvenni in questo carcere, che non lascerò più nella mia vita mortale.

Spinto dalla necessità di far qualcosa, di popolare in qualche modo il tempo, volli ricordare, nella mia ombra, tutto quel che sapevo. Notti intere consumai a ricordare l’ordine e il numero di certi serpenti di pietra o la forma di un albero medicinale. Così andai debellando gli anni, così rientrai in possesso di quanto era già mio. Una notte sentii che mi avvicinavo a un ricordo prezioso; prima di vedere il mare, il viaggiatore avverte un’agitazione nel sangue. Ore più tardi, cominciai ad avvistare il ricordo; era una delle tradizioni del dio. Questi, prevedendo che alla fine dei tempi sarebbero occorse molte sventure e rovine, scrisse nel primo giorno della Creazione una sentenza magica, atta a scongiurare quei mali. La scrisse in modo che giungesse alle più remote generazioni e che non la toccasse il caso. Nessuno sa in quale punto l’abbia scritta né con quali caratteri, ma ci consta che perdura, segreta, e che la leggerà un eletto. Considerai che eravamo, come sempre, alla fine dei tempi e che il mio destino di ultimo sacerdote del dio mi riserbava il privilegio di decifrare quella scrittura. Il fatto che un carcere mi circondasse non mi vietava tale speranza; forse io avevo visto migliaia di volte l’iscrizione di Qaholom e non dovevo che capirla.

Questa riflessione mi animò e poi mi dette una specie di vertigine. Nell’ambito della terra esistono forme antiche, forme incorruttibili ed eterne; una qualunque di esse poteva essere il simbolo che cercavo. Una montagna poteva essere la parola del dio, o un fiume o l’impero o la configurazione degli astri. Ma nel corso dei secoli le montagne si livellano e il percorso di un fiume suole mutare, gl’imperi conoscono cambiamenti e la figura degli astri varia. Nel firmamento avvengono mutamenti. La montagna e la stella sono individui e gli individui sono caduchi. Cercai qualcosa di più tenace, di più invulnerabile. Pensai alle generazioni dei cereali, dei pascoli, degli uccelli, degli uomini. Forse nel mio volto era scritta la magia, forse io stesso ero il fine della mia ricerca. Ero in questo travaglio quando ricordai che il giaguaro era uno degli attributi del dio.

Allora la mia anima si riempì di pietà. Immaginai la prima mattina del tempo; immaginai il mio dio mentre affidava il messaggio alla pelle viva dei giaguari, che si sarebbero amati e generati senza fine, in caverne, in canneti, in isole, affinché gli ultimi uomini lo ricevessero. Immaginai la rete delle tigri, il caldo labirinto delle tigri, spargere l’orrore per i prati e tra le greggi perché fosse conservato un disegno. Nell’altra cella era un giaguaro; nella sua vicinanza ravvisai una conferma della mia supposizione e un segreto favore.

Dedicai lunghi anni a imparare l’ordine e la configurazione delle macchie. Ogni cieca giornata mi concedeva un istante di luce, e così potei fissare nella mia mente le nere forme che macchiavano il pelame giallo. Alcune racchiudevano punti; altre formavano linee trasversali nella parte interna delle zampe; altre, a disegno anulare, si ripetevano. Forse erano uno stesso suono o una stessa parola. Molte avevano orli rossi.

Non dirò la stanchezza della mia fatica. Spesso gridai alla volta che era impossibile decifrare quel testo. Gradatamente l’enigma concreto che mi occupava m’inquietò meno che l’enigma generale di una sentenza scritta da un dio. Quale tipo di sentenza – mi chiesi – costruirà una mente assoluta? Considerai che anche nei linguaggi umani non c’è proposizione che non implichi l’universo intero; dire “la tigre” è dire le tigri che la generarono, i cervi e le testuggini che divorò, il pascolo di cui si alimentarono i cervi, la terra che fu madre del pascolo, il cielo che dette luce alla terra. Considerai che nel linguaggio di un dio ogni parola deve enunciare questa infinita concatenazione dei fatti, e non in modo implicito ma esplicito, non progressivo ma immediato. Con il tempo, l’idea di una sentenza divina mi parve puerile o empia. Un dio – riflettei – deve dire solo una parola, e in quella parola la pienezza. Nessuna voce articolata da lui può essere inferiore all’universo o minore della somma del tempo. Ombre o simulacri di quella voce che equivale a un linguaggio, sono le ambiziose e povere voci umane tuttomondouniverso.

Un giorno o una notte – tra i miei giorni e le mie notti, che differenza c’è? – sognai che sul pavimento del carcere c’era un granello di sabbia. Mi riaddormentai, indifferente; sognai che mi destavo e che i granelli di sabbia erano due. Mi riaddormentai; sognai che i granelli di sabbia erano tre. Si andarono così moltiplicando fino a colmare il carcere e io morivo sotto quell’emisfero di sabbia. Compresi che stavo sognando; con un grande sforzo mi destai. Fu inutile; l’innumerevole sabbia mi soffocava. Qualcuno mi disse: “Non ti sei destato alla veglia ma a un sogno precedente. Questo sogno è dentro un altro, e così all’infinito, che è il numero dei granelli di sabbia. La strada che dovrai percorrere all’indietro è interminabile e morrai prima di esserti veramente destato”.

Mi sentii perduto. La sabbia mi rompeva la bocca, ma gridai: “Una sabbia sognata non può uccidermi, né ci son sogni che stiano dentro sogni”. Uno splendore mi destò. Nella tenebra sopra di me si librava un cerchio di luce. Vidi il volto e le mani del carceriere, la ruota di ferro, la corda, la carne e le brocche. Un uomo si confonde, gradatamente, con la forma del suo destino; un uomo è, alla lunga, ciò che lo determina. Più che un decifratore o un vendicatore, più che un sacerdote del dio, io ero un prigioniero. Dall’inesauribile labirinto di sogni tornai, come a una casa, alla dura prigione. Benedissi la sua umidità, benedissi il suo giaguaro, benedissi il foro della luce, benedissi il mio vecchio corpo dolente, benedissi la tenebra e la pietra.

Allora avvenne quel che non posso dimenticare né comunicare. Avvenne l’unione con la divinità, con l’universo (non so se queste parole differiscono). L’estasi non ripete i suoi simboli; c’è chi ha visto Dio in una luce, c’è chi lo ha scorto in una spada o nei cerchi di una rosa. Io vidi una Ruota altissima, che non stava avanti ai miei occhi né dietro né ai lati, ma in ogni parte a un tempo. Quella Ruota era fatta di acqua, ma anche di fuoco, e (benché si vedesse il bordo) era infinita. Intrecciate fra loro, la formavano tutte le cose che saranno, che sono e che furono, ed io ero uno dei fili di quella trama totale, e Pedro de Alvarado, che mi fece tormentare, era un altro. Lì erano le cause e gli effetti e mi bastava vedere quella Ruota per comprendere tutto, senza fine. Oh gioia di comprendere, maggiore di quella di operare o di sentire. Vidi l’universo e vidi gl’intimi disegni dell’universo. Vidi le origini che narra il Libro della Tribù. Vidi le montagne che sorsero dall’acqua, vidi i primi uomini di legno, vidi i vasi che si ribellarono agli uomini, vidi i cani che lacerarono loro la faccia. Vidi il dio senza volto che sta dietro gli dèi. Vidi infiniti processi che formavano una sola felicità e, comprendendo ormai tutto, potei anche capire la scrittura della tigre.

È una formula di quattordici parole casuali (che sembrano casuali) e mi basterebbe pronunciarla ad alta voce per essere onnipotente. Mi basterebbe dirla per abolire questo carcere di pietra, perché il giorno invadesse la mia notte, per essere giovane e immortale, perché il giaguaro lacerasse Alvarado, per affondare il santo coltello in petti spagnoli, per ricostruire la piramide e l’impero. Quaranta sillabe; quattordici parole, e io, Tzinacàn, governerei le terre governate da Moctezuma. Ma so che mai dirò quelle parole, perché non mi ricordo più di Tzinacàn.

Muoia con me il mistero che è scritto nelle tigri. Chi ha scorto l’universo, non può pensare a un uomo, alle sue meschine gioie o sventure, anche se quell’uomo è lui. Quell’uomo è stato lui e ora non gl’importa più. Non gl’importa la sorte di quell’altro, non gl’importa la sua azione, poiché egli ora è nessuno. Per questo non pronuncio la formula, per questo lascio che i giorni mi dimentichino, sdraiato nelle tenebre.



(tratto da "L'Aleph", traduzione di Francesco Tentori Montalto, Feltrinelli, 1996)




domenica 15 agosto 2021

Letture per un tempo infausto

Il 25 luglio siamo entrati in una realtà da romanzo distopico.

E ieri con l'attacco hacker al sistema informatico della Regione Lazio siamo entrati in zona Matrix.

Oggi, invece, 3 agosto 2021, siamo decisamente in territorio I racconti dell'ancella. 


***


Scrivevo queste righe l'altro giorno, ma preferisco essere propositiva, quindi facciamo l'elenco delle letture utili in questo periodo così difficile.

Conan, di Alexandre Key. "Gli uccelli marini, gli unici amici di Conan, lo svegliarono all'alba schiamazzando e lanciando sassolini sulla sua capanna". La fede in Dio e in sé stessi, il Nuovo Ordine Mondiale, il Cambiamento, e dei ragazzini che cercano di sopravvivere, di mantenere il bene in loro e attorno a loro, di rimanere in contatto. Un libro sulle dittature e sulla sopravvivenza, sull'imparare e sul resistere.



La Compagnia dei Celestini, di Stefano Benni. Il Grande Bastardo e la partita di calcio più interessante della storia.

Ursula K. Le Guin, Saga di Terramare. Il potere, la forza, la maternità, l'imponderabile forza cui ci avviciniamo e con cui possiamo dialogare solo se lo facciamo con saggezza e umiltà; l'amore da vecchi; la storia della donna di Kemai; Tenar e Kalessin.

J.K. Rowling, Harry Potter e l'Ordine della Fenice. Un gruppo di ragazzini lotta contro l'ordine costituito. I meccanismi del potere e della rimozione sono all'opera nel mondo degli adulti e dei compagni, eppure è possibile avere un'altra visione e difenderne la giustezza. L'amicizia e l'amore come via per la salvezza.

Jorge Luis Borges, L'aleph. La scrittura del Dio e Gli immortali mostrano che né l'onnipotenza né l'immortalità sono qualcosa cui anelare.

La Bibbia, in particolare: Giona, Esodo, Libri sapienziali tutti, due libri dei Maccabei, Ester, Vangeli tutti, Lettere di Paolo tutte, lettere di Giovanni tutte e tre

Papa Francesco, Laudato si' e Fratelli tutti. Essere fratelli e guardare il mondo con verità.

Bruno Tognolini, Lunamoonda. Come si crea un popolo di tossicodipendenti senza neanche doversi preoccupare della produzione. Il mondo salvato dai ragazzini rifugiati in una grotta in Sardegna. Un romanzo strano, con alti e bassi, sicuramente lucido nell'additare i pericoli cui lo scientismo può portare.

Sebastiao Salgado, Dalla mia terra alla terra. Quando si pensa che il mondo di oggi non sia più come quello degli ultimi decenni del secolo scorso, delle guerre e delle catastrofi umanitarie che Salgado fotografò, possiamo ricrederci: è lo stesso, sono solo diventati più bravi a nascondere, a distrarre, ad additare capri espiatori. La natura e i popoli cosiddetti "primitivi" come unica speranza per l'essere umano.



David Grossmann, Vedi alla voce: amore. Il totalitarismo e i meccanismi del suo procedere. Un romanzo di romanzi, diversi per genere, stile e pathos, ma che alla fine ricorda il senso dell'essere umani.

David Grossman, Qualcuno con cui correre. Per non perdere la speranza, nonostante la droga, la mafia, la burocrazia, il decadimento di ogni ideale o valore: "...qualcosa che mi ha detto Teodora, in un altro contesto: è ovvio che ci sono al mondo persone come Shay, ma ce ne sono anche altre, come quelle che cercano di tirare fuori Shay dal pantano, no?...E a questo proposito, Teodora ha detto che è proprio per loro che vale la pena vivere". Un libro sulla crescita e l'amore, per la famiglia, le proprie origini e l'altra persona che può camminare con te. Un romanzo di formazione profondo, duro, spiazzante, che insieme trasmette e insegna forza e resistenza.



Dino Buzzati, Il segreto del bosco vecchio. Alberi ed animali e la loro vita che unica può accarezzare l'anima di bambini soli. Un po' di Vento Matteo per tutti.

Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e Resa. "Solo se l'ira e la vendetta di Dio contro i suoi nemici restano realtà valide, qualcosa del perdono e dell'amore verso i nemici può toccare il nostro cuore". 5 dicembre 1943.

Grimm, Fiabe. A volte colui che si salva e salva tutti, è colui che viene additato come stupido. Ma chi è puro di cuore, viene aiutato, sempre.

Silvana De Mari, L'ultimo elfo e L'ultimo orco. Rilettura non convenzionale di elfi, orchi, principesse e profezie. Un inno alla libertà e alla lotta per trovare sé stessi e una qualche parvenza di vita dotata di senso.

Etty Hillesum, Lettere e Diario. Le parole di Etty possono illuminare qualsiasi persona. "Per umiliare qualcuno si deve essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei... Possono renderci la vita un po’ spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po’ di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori con il nostro atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati, oppressi, col nostro odio e la millanteria che maschera la paura. Certo che ogni tanto si può essere tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia: siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli. Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e lavorare ‘a se stessi’ non è proprio una forma d’individualismo malaticcio. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di trasformarlo in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile...Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra".








mercoledì 11 agosto 2021

Elogio di Katniss

Raramente riesco a parlare prima di aver letto abbastanza, essermi fatta un'idea, aver sviluppato un mio pensiero su un certo tema.

Ad esempio, sto ancora meditando sull'uso distorto della parola "scienza" collegata a "verità" ed "evidenze", in collegamento a quel che ricordo di Popper (falsificabilità delle teorie scientifiche); sto ancora ragionando sul significato di stato etico, in coincidenza con un sistema che ritiene che un giudice possa decidere senza informarmi che mia figlia minorenne abortisca e che possa vaccinarsi anche se io sono contraria, salvo poi che io sia responsabile per tutti gli illeciti che possa compiere.

Ebbene, a volte le mie letture mi aiutano, anche dopo anni, a farmi un'idea su alcuni argomenti e capisco come vedo certi problemi perché dentro ho le parole, sì proprio come Il paziente inglese, che aveva le informazioni, "come un mare dentro di sé". Sento le stonature. Avverto prepotentemente la falsità, l'ipocrisia, a volte non dall'inizio, sono molto ingenua e afflitta da un'insopportabile fiducia negli esseri umani, ma poi, come una rivelazione, vedo e allora cambia tutto, con una rivoluzione copernicana. Il 23 luglio, non me lo dimenticherò.

E poi ricordo. Ho memoria di quello che le persone hanno detto e fatto, non precisamente, con dati, parole e giorni, non potrei citare, ma so che aveva detto l'esatto contrario, aveva sostenuto l'esatto contrario, e allora chiudo con quella persona, quel movimento, quel partito.

Prima di parlare di Katniss, devo dire quali frasi mi risuonano oggi.

"O io, o lui, o entrambi moriremo!" Romeo e Giuletta, lo sento con la voce di Di Caprio. Tutti moriamo, prima o poi, la demonizzazione e rimozione della morte non mi appartiene; questa radicale consapevolezza (memento mori) fa parte di me da sempre, ma io ho dato la vita, ho scelto di dare la vita, e la vita di mio figlio, che non mi appartiene, non appartiene a nessun altro, non la farò prendere a nessuno. 

"La vita è dolore e sofferenza, non solo per chi ha la lebbra, ma per tutti. Eppure, non c'è nessuno che non lotti per vivere quanto più possa", Principessa Mononoke. La vita non è un prato fiorito, un letto di rose, come il benessere occidentale ci ha fatto pensare, escludendo i cimiteri, i malati, i vecchi, gli storpi. E' una cecità occidentale, una visione parziale che oggi cerca di riproporsi buttandosi in una cieca e fideistica accettazione di tutto ciò che la "SCIENZA" propone o propina. 

So che non pare, ma sono una persona davvero molto ironica (o così mi piace pensare) e solare (perché così voglio essere: Film Blu), ma forse sono come Pavese, di cui Natalia Ginzburg scriveva che aveva un'ironia sottile, pungente, che non emergeva mai o quasi mai dai suoi scritti, che erano invece pieni di dolente consapevolezza del male del mondo, di amarezza. "Che il meglio di te sia per gli amici tuoi", diceva Gibran: mi piace pensare che agli amici possa ancora riservare qualche barlume di spensierato divertimento o di lucida ironia o di intelligente sarcasmo. Speriamo.

Bene, veniamo a Katniss.

Per anni non ho capito la sua figura, o meglio non l'ho apprezzata. Vengo da anni in cui i campioni del bene erano eroi ed eroine senza macchia, senza paura, senza tentennamenti, e lei mi spiazzava. Indecisa, su tante, troppe cose. Mera pedina di tante trame ordite da altri. Confusa sui suoi sentimenti, e alla lettura del primo libro e visione dei film per anni non ho capito perché scegliesse Peeta e non l'altro, che è pure fratello di Chris H., voglio dire pensa al patrimonio genetico dei tuoi figli. (Non ci pensiamo mai. L'amore è paradossale perché quando ti innamori, il patrimonio genetico dei tuoi figli non lo consideri proprio. E dopo, li ami così come sono. Forse sta qui il nocciolo dell'orrore della preordinazione genetica: vedere Gattaca, Lunamoonda).

Katniss arciera neanche così infallibile, incapace di esprimere sentimenti se non nelle circostanze estreme, quasi sempre manovrata e in bilico.

L'unica cosa che amavo era la scena finale, quella bucolica in cui lei, Peeta e la bambina sono tra i campi, lui gioca con la bambina e lei nutre il piccolino, perché anche se lei dovrebbe avere sui trent'anni e il trucco decisamente non riesce a darglieli, amo tutte le scene in cui si svela e rivela l'immaginario preraffaellita e londoniano che è sotteso all'utopia occidentale. Che penso mi consoli un po'. (Mi piace sempre, così, vedere Bella ed Edward che corrono tra i boschi al rallenty, con gli abiti bianchi svolazzanti, come in una pubblicità di Dior by Matteo Garrone; sebbene io apprezzi decisamente di più, come personaggio e come metafora, Jacob, ma questa è un'altra storia, e bisognerà parlarne un'altra volta.)

Infine ho capito. Siamo tutti stupidi, in un mondo più grande di noi e che tesse trame che non riusciamo a dipanare. Ero ingenua io, che pensavo che cause e motivi fossero spiegabili, visibili, indagabili. Tutti noi siamo come Katniss, i cui fili sono mossi da altri, e la cui libertà si riduce a poche scelte. Ma da allora ho potuto vedere quanto le sue scelte fossero fondamentali. Difendi i deboli. Proteggi fino alla fine coloro che ti sono affidati. Non andare in battaglia se non sei costretta, ma se vai, punta a vincere. Non sacrificare ciò che sei pur di vincere. Tra il più forte e il più debole, cambia il criterio di scelta: e non è detto che il suo, che amava di più chi più aveva bisogno di lei, sia poco proattivo e liberante. E' un concetto di amore che associamo al materno (le madri di figli problematici lo sanno bene, quanto l'amore per chi ha più problemi ti strugga il cuore più dell'amore per chi, tanto, se la caverà), e che io non avevo mai collegato a quello che di solito chiamiamo "amore tra pari", ma, in fondo...non è tanto essere pari, ma essere i due pezzi del puzzle. 

E così, nonostante la Jennifer non mi sconfinferi molto, Katniss ha ora un posto in me.