mercoledì 23 novembre 2011

Cathleen Schine


Non ho ancora deciso se questa scrittrice mi piace o non mi convince. Comunque, continuo a leggerla, e alcuni dei suoi libri li ho davvero apprezzati.

La lettera d’amore



Voto: 8,5. Divertente, coinvolgente, sarcastico e ironico, tenero, sfaccettato, colto nei rimandi e nelle citazioni letterarie. Una bella storia d’amore scatenata da un “incidente postale” e da una lettera straordinaria, la lettera d’amore del titolo, trovata appunto, senza saperne il mittente e dubitando di essere la destinataria, tra la posta. Anche i due protagonisti si scriveranno l’un l’altro le loro lettere d’amore, alla fine, che saranno forse meno incisive, ma ugualmente tenere e sentite.

“Helen tese distrattamente una mano. Bevve un sorso di caffè con la lettera stretta contro la tazza. Solo più tardi si ricordò di come le era sembrata sbagliata quella lettera, il fungo velenoso in mezzo al giardino della sua posta, e di quanto le fosse apparsa inopportuna, lì in agguato su quella calma superficie stratificata. La aprì, quasi meccanicamente, e si mise a leggerla.

Cara Capra,

come ci si innamora? Si casca? Si inciampa, si perde l’equilibrio e si cade sul marciapiedi, sbucciandosi un ginocchio, sbucciandosi il cuore? Ci si schianta per terra, sui sassi? O è come rimanere sospesi oltre l’orlo di un precipizio, per sempre?
So che ti amo quando ti vedo, lo so quando ho voglia di vederti. Non un muscolo si è mosso. Nessuna brezza agita le foglie. L’aria è ferma. Ho cominciato ad amarti senza fare un solo passo. Senza neanche un battito di ciglia. Non so neppure quando è successo.
Sto bruciando. E’ troppo banale per te? No, e lo sai. Vedrai. E’ quello che capita, è quello che importa. Sto bruciando.
Non mangio più, mi dimentico di mangiare, mi sembra una cosa sciocca, che non c’entra. Se ci bado. Ma non bado a niente. I miei pensieri straripano furiosi, una casa piena di fratelli, legati dal sangue, che si dilaniano in una faida:

“Mi sto innamorando”.
“Tipica scelta stupida”.
“Eppure…L’amore mi tormenta come se fosse dolore”.
“Sì, continua così, manda a puttane la tua vita. E’ tutto sbagliato e lo sai. Svegliati. Guarda le cose in faccia”.
“C’è una faccia sola, l’unica che vedo, quando dormo e quando non dormo”.

Stanotte ho buttato il libro dalla finestra. Ho provato a dimenticare. Tu non vai bene per me, lo so, ma quello che penso non mi interessa più, a meno che non pensi a te. Quando sono accanto a te, davanti a te, sento i tuoi capelli che mi sfiorano la guancia anche se non è vero. Qualche volta guardo altrove. Poi ti guardo di nuovo.
Quando mi allaccio le scarpe, quando sbuccio un’arancia, quando guido la macchina, quando vado a dormire ogni notte senza di te, io resto,
come sempre,
Montone

Helen continuò a fissare la lettera, le grinze diagonali dove era stata piegata, piegata malissimo; guardò le righe nitidamente battute a macchina; la firma, battuta a macchina anche quella. Niente data.
Un’onda di calore poco familiare la avvolse all’improvviso, un senso di tenerezza, la tenerezza di qualcun altro. Perché questa lettera si trova in mano mia? Sono una guardona. Questa lettera non è mia, non l’hanno mandata a me. Però ce l’ho in mano, l’ho letta, i suoi sentimenti mi hanno commossa. (…) Ma questa lettera è mia o no? Forse ho una storia e non lo so.”
 Bellissimo.

L’evoluzione di Jane

Voto: 5. Insopportabile noia, faticoso da finire. Unica cosa interessante: l’idea del viaggio alle Galapagos. Poca originalità.

Tutto da capo



Voto: 7. Personaggi abbastanza sconclusionati, le cui vite hanno rivolgimenti tali che, alla fine, la strana Betty sembra proprio la più normale e assennata. Tuttavia la scrittrice conferma le sue doti nella descrizione dei personaggi e nel creare intrecci coinvolgenti. Sono rese in modo vivo e dettagliato le tre protagoniste femminili, ma lo sono anche, soprattutto, i comprimari: il cugino Lou, tanto ricco quanto disponibile e di buon cuore, la sommamente ipocrita Felicity, il signor Roberts, mite ma solido, la stolta Rosalyn, il fatuo scrittore Frederick, il falsissimo Kit. Lo humor sottile permette di non far cadere il tono, che altrimenti, in certe parti, risentirebbe di una certa pesantezza. Non si può dire, però, che ci siano vere scene clou, che rimangono impresse indelebilmente nella memoria; piuttosto uno stormire di foglie e un lento posarsi di immagini, dialoghi, riflessioni.

“Se sua madre poteva leggere il proprio squallido divorzio come un eroico thriller epico, chi era lei per privarla di quella soddisfazione? (…) Da un certo punto di vista Annie le invidiava: come si fa a trovare una tale inebriante soddisfazione nella sconfitta? Ma d’altro canto aveva scarsa pazienza verso un atteggiamento che significava, lei lo sapeva, che tutti i dettagli decisamente poco eccitanti – come organizzare il trasloco, ordinare il materiale da imballaggio e trovare il modo di pagare le spese per questi piccoli dettagli – sarebbero inevitabilmente ricaduti, come foglie in autunno, sulle sue spalle” (pp. 50-51).

“Ma, alla resa di conti, il punto di forza di Miranda era la sublime ignoranza dell’eventualità che le cose potessero andare in un modo diverso da quello che lei, nella sua benevola eccitazione, aveva immaginato. Non si curava di quello che il mondo pensava di lei o dei suoi capricci, poiché il mondo esisteva soltanto per come lei lo immaginava, e Miranda credeva nella propria immaginazione come altri credevano in Dio o nel capitalismo: era una forza, ed era una forza del bene” (p. 59).

“Miranda andò a letto febbricitante e rossa in volto, con i capelli appiattiti sulla testa e gli occhi gonfi di stanchezza. Il mattino dopo, tuttavia, emerse dal bagno vispa e fresca di doccia, con un aspetto e uno stato d’animo che erano quelli pre-Oprah. Quando Kit Maybank percorse il sentiero sterrato che conduceva al decrepito cottage non era preparato a vedere la donna radiosa che gli andò incontro sulla veranda. Ricordava la donna boccheggiante, pallida, fradicia e più vecchia del giorno prima, non questa creatura piena di vita dal sorriso ironico e dallo sguardo profondo ed entusiasta” (p.99).

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