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Leggendo Stardust di Neil Gaiman, trovo una poesia di John Donne che mi sembra di aver già letto. Strano, perché non ho alcun libro di questo poeta né mai mi è capitato di studiarlo.
Ecco la poesia (tradotta dall’inglese, suppongo all'inizio io, dal traduttore del libro, che mi pare non avere una gran vena poetica):
"Va’ ad afferrare una stella cadente,
impregna una radice di mandragola,
dimmi ove son tutti gli anni passati,
o chi fendette il piede del diavolo,
insegnami a udire il canto delle Sirene,
o a evitare la trafittura d’invidia,
e trova
qual vento
occorra per far progredire un animo onesto.
Se tu sei nato a strane visioni,
a veder cose invisibili,
cavalca notti e giorni diecimila,
finché vecchiezza nevichi su te bianchi crini;
tu, al tuo ritorno, mi racconterai
tutti i portenti strani che ti accaddero,
e giurerai
che in nessun luogo
vive donna fedele e bella.
Se ne trovi una, fammelo sapere,
dolce sarebbe un tal pellegrinaggio;
ma no, non dirmelo; io non vi andrei
anche se potessi incontrarla alla porta accanto;
per quanto fosse fedele quando tu l’incontrasti,
e lo rimanesse fino a che tu mi abbia scritto la lettera,
ella però
sarà infedele,
prima ch’io venga, a due o tre."
Improvvisamente si accende una luce…grazie alla “donna fedele e bella” e alla stella cadente, per quanto l’ultima strofa proprio non mi suoni e anzi mi dia fastidio per l’evidente misoginia.
Così corro nella mia libreria, prendo “Il castello errante di Howl” e sfoglio…e trovo. La traduzione mi sembra decisamente migliore, come ricordavo.
“Prendi una stella cadente, con tatto
Alla mandragola dona un bambino.
Gli anni passati, che fine hanno fatto?
Chi taglia al Diavolo il piede caprino?
Delle sirene come odo il canto?
E dell’invidia com’evito il pianto?
Ancora, ancora:
qual è il mulinello
Che spinge l’onesto oltre ogni tranello?
Di cosa si tratti decidilo tu,
E aggiungi, a questa, una strofa in più.”
E oltre:
“Se tu sei nato in stravaganza,
E l’invisibile il tuo occhio non manca,
Per diecimila dì e notti avanza
Finché la neve degli anni t’imbianca.
Al tuo ritorno mi racconterai
Le meraviglie del tuo viavai.
E giura: nemmeno
Su di una stella
Esiste donna fedele e bella.
Se tu…”
Siccome l’editore del libro (la Kappa Edizioni, cui dobbiamo anche Conan di Alexander Key, che la mia generazione desiderava leggere da più di venticinque anni) ha fatto un buon lavoro, alla fine inserisce una Nota, in cui ci spiega di aver adattato la poesia nella traduzione, per mantenere la rima e i doppi sensi, e ci cita anche la traduzione più nota in Italia, quella di G. Melchiori per l’edizione delle Liriche sacre e profane di Donne edita da Mondadori nel 1983. E scopriamo che è quella usata per Stardust, senza però che in questo libro neanche una nota ce lo indichi (e non si fa così!).
Ora, la traduzione di Melchiori è datata e lo si percepisce subito. Soprattutto se leggiamo (ancora grazie all’edizione Kappa) l’originale inglese:
"Go and catch a falling star,
Get with child a mandrake rott,
Tell me where all past years are,
Or who cleft the devil’s foot.
Teach me to hear the mermaids singing,
Or to keep off envy’s stinging,
And find
What wind
Serves to advance an honest mind.
If thou beest born to strange sights,
Things invisible to see,
Ride then thousand days and nights
Till age snow white hairs on thee.
Thou, when thou returnest, will tell me
All strange wonders that befelt thee,
And swear
No where
Lives a woman true, and fair.
If thou…”
Il testo è straordinariamente immediato, pur nell’abbondanza dei suoi riferimenti magico-criptici, e molto musicale.
Ma c’è un altro collegamento che vorrei fare, oltre a questo delle traduzioni.
Nei ringraziamenti alla fine di Stardust, Gaiman ne fa due che mi hanno colpito. Quello a Diana Wynne Jones, ovviamente, il cui libro è di tredici anni precedente quello di Gaiman. E poi l’altro: “Sono inoltre debitore nei confronti di Hope Mirrlees, lord Dunsany, James Branch Cabell e C.S. Lewis, ovunque essi siano, per avermi insegnato che le fiabe sono anche per gli adulti.”
Proprio qualche settimana fa ho scoperto che Lewis stesso era stato portato a questa scoperta da un altro grande della letteratura inglese, Tolkien, che ne parlò (senza dirne il nome, poi ricostruito dagli studiosi) nella conferenza Sulle fiabe. Ecco il brano, tratto da J.R.R. Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Bompiani, Milano 2004, pagg. 212/213.
“A molti la Fantasia, quest’arte sub-creativa che gioca strani tiri al mondo e a tutto ciò che è in esso, combinando nomi e ridistribuendo aggettivi, è sembrata sospetta, se non illegittima. Ad alcuni è sembrata quantomeno una follia infantile, una cosa adatta soltanto a popoli o a persone nel periodo della loro giovinezza. Per quanto riguarda invece la sua legittimità, non dirò altro, a parte citare un breve brano da una lettera che una volta mandai a un uomo che descriveva i miti e le fiabe come “menzogne”; anche se, per rendergli giustizia, egli era abbastanza gentile e abbastanza confuso da chiamare la creazione di fiabe “sussurrare una menzogna attraverso l’argento”.
“Caro Signore,” dissi, “benché sia ora lontano scacciato
l’Uomo non è del tutto perduto, né del tutto cambiato.
Dis-graziato può esserlo pure, ma non de-tronizzato,
ed i cenci della signoria di un tempo ha conservato:
l’Uomo, il Sub-creatore, è la riflessa luce
attraverso la quale dal Bianco si produce
una gamma di colori, senza fine combinati in viventi
forme che si muovono fra le menti.
Se tutte le fessure del mondo colmammo
con Elfi e Folletti, se creare osammo
gli Dei e le loro magioni dal buio e dalla luce
e seminammo semente di draghi – ciò era (a torto o a ragione)
nostro diritto. Questo diritto non è decaduto:
ancora creiamo secondo la legge che così ci ha voluto.”
La Fantasia è una naturale attività umana."
A piè di pagina c’è la Nota del curatore Christopher Tolkien: “L’argomento di questa poesia – qui citata in piccola parte – intitolata Mythopoeia (…) è la base della conversazione fra Tolkien e l’amico C.S. Lewis (l’uomo che riteneva miti e fiabe delle “menzogne”) avvenuta la sera del 19 settembre 1931 mentre passeggiavano lungo Addison Walk a Oxford. Fu in quella occasione che Tolkien “convertì” Lewis alla sua verità facendogli anche abbandonare il protestantesimo per il cattolicesimo”.
Due annotazioni. Certe chiacchierate sono talmente importanti che non solo te le ricordi anche dopo anni, ma segnano una svolta nella vita, ed è bello ricordarle così, con data e luogo, non solo per le vite dei grandi della letteratura, ma anche per le nostre. Anch’io ne ho in mente qualcuna, nella mia vita (anche se potrei dire l’anno, difficilmente il giorno).
Altra cosa. Tolkien ha insegnato a Lewis il valore della fiaba, Lewis l’ha insegnato a Gaiman. Tutti l’hanno fatto fruttificare. Sicuramente non solo loro, di cui sappiamo: molti altri forse nelle loro case, nelle loro scuole, nei circoli di amici. Questo significa che quando capiamo qualcosa, non importa se grande o piccolo, lo dobbiamo trasmettere, condividere, non ne dobbiamo essere avari né vergognosi, perché così diviene una ricchezza per tutti, un patrimonio comune che può svilupparsi ancor più.
E questa idea fu proprio il senso di una conversazione avuta a Faenza con alcuni cari amici…
Ops! Vedo ora che ne hanno fatto una nuova traduzione, in un'edizione di Feltrinelli con prefazione di Virginia Woolf, introduzione di Giles Lytton Strachey e traduzione di Rosa Tavelli...chissà com'è tradotta qui la poesia di Howl (per me si chiamerà sempre così) in italiano?
Leggendo Stardust di Neil Gaiman, trovo una poesia di John Donne che mi sembra di aver già letto. Strano, perché non ho alcun libro di questo poeta né mai mi è capitato di studiarlo.
Ecco la poesia (tradotta dall’inglese, suppongo all'inizio io, dal traduttore del libro, che mi pare non avere una gran vena poetica):
"Va’ ad afferrare una stella cadente,
impregna una radice di mandragola,
dimmi ove son tutti gli anni passati,
o chi fendette il piede del diavolo,
insegnami a udire il canto delle Sirene,
o a evitare la trafittura d’invidia,
e trova
qual vento
occorra per far progredire un animo onesto.
Se tu sei nato a strane visioni,
a veder cose invisibili,
cavalca notti e giorni diecimila,
finché vecchiezza nevichi su te bianchi crini;
tu, al tuo ritorno, mi racconterai
tutti i portenti strani che ti accaddero,
e giurerai
che in nessun luogo
vive donna fedele e bella.
Se ne trovi una, fammelo sapere,
dolce sarebbe un tal pellegrinaggio;
ma no, non dirmelo; io non vi andrei
anche se potessi incontrarla alla porta accanto;
per quanto fosse fedele quando tu l’incontrasti,
e lo rimanesse fino a che tu mi abbia scritto la lettera,
ella però
sarà infedele,
prima ch’io venga, a due o tre."
Improvvisamente si accende una luce…grazie alla “donna fedele e bella” e alla stella cadente, per quanto l’ultima strofa proprio non mi suoni e anzi mi dia fastidio per l’evidente misoginia.
Così corro nella mia libreria, prendo “Il castello errante di Howl” e sfoglio…e trovo. La traduzione mi sembra decisamente migliore, come ricordavo.
“Prendi una stella cadente, con tatto
Alla mandragola dona un bambino.
Gli anni passati, che fine hanno fatto?
Chi taglia al Diavolo il piede caprino?
Delle sirene come odo il canto?
E dell’invidia com’evito il pianto?
Ancora, ancora:
qual è il mulinello
Che spinge l’onesto oltre ogni tranello?
Di cosa si tratti decidilo tu,
E aggiungi, a questa, una strofa in più.”
E oltre:
“Se tu sei nato in stravaganza,
E l’invisibile il tuo occhio non manca,
Per diecimila dì e notti avanza
Finché la neve degli anni t’imbianca.
Al tuo ritorno mi racconterai
Le meraviglie del tuo viavai.
E giura: nemmeno
Su di una stella
Esiste donna fedele e bella.
Se tu…”
Siccome l’editore del libro (la Kappa Edizioni, cui dobbiamo anche Conan di Alexander Key, che la mia generazione desiderava leggere da più di venticinque anni) ha fatto un buon lavoro, alla fine inserisce una Nota, in cui ci spiega di aver adattato la poesia nella traduzione, per mantenere la rima e i doppi sensi, e ci cita anche la traduzione più nota in Italia, quella di G. Melchiori per l’edizione delle Liriche sacre e profane di Donne edita da Mondadori nel 1983. E scopriamo che è quella usata per Stardust, senza però che in questo libro neanche una nota ce lo indichi (e non si fa così!).
Ora, la traduzione di Melchiori è datata e lo si percepisce subito. Soprattutto se leggiamo (ancora grazie all’edizione Kappa) l’originale inglese:
"Go and catch a falling star,
Get with child a mandrake rott,
Tell me where all past years are,
Or who cleft the devil’s foot.
Teach me to hear the mermaids singing,
Or to keep off envy’s stinging,
And find
What wind
Serves to advance an honest mind.
If thou beest born to strange sights,
Things invisible to see,
Ride then thousand days and nights
Till age snow white hairs on thee.
Thou, when thou returnest, will tell me
All strange wonders that befelt thee,
And swear
No where
Lives a woman true, and fair.
If thou…”
Il testo è straordinariamente immediato, pur nell’abbondanza dei suoi riferimenti magico-criptici, e molto musicale.
Ma c’è un altro collegamento che vorrei fare, oltre a questo delle traduzioni.
Nei ringraziamenti alla fine di Stardust, Gaiman ne fa due che mi hanno colpito. Quello a Diana Wynne Jones, ovviamente, il cui libro è di tredici anni precedente quello di Gaiman. E poi l’altro: “Sono inoltre debitore nei confronti di Hope Mirrlees, lord Dunsany, James Branch Cabell e C.S. Lewis, ovunque essi siano, per avermi insegnato che le fiabe sono anche per gli adulti.”
Proprio qualche settimana fa ho scoperto che Lewis stesso era stato portato a questa scoperta da un altro grande della letteratura inglese, Tolkien, che ne parlò (senza dirne il nome, poi ricostruito dagli studiosi) nella conferenza Sulle fiabe. Ecco il brano, tratto da J.R.R. Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Bompiani, Milano 2004, pagg. 212/213.
“A molti la Fantasia, quest’arte sub-creativa che gioca strani tiri al mondo e a tutto ciò che è in esso, combinando nomi e ridistribuendo aggettivi, è sembrata sospetta, se non illegittima. Ad alcuni è sembrata quantomeno una follia infantile, una cosa adatta soltanto a popoli o a persone nel periodo della loro giovinezza. Per quanto riguarda invece la sua legittimità, non dirò altro, a parte citare un breve brano da una lettera che una volta mandai a un uomo che descriveva i miti e le fiabe come “menzogne”; anche se, per rendergli giustizia, egli era abbastanza gentile e abbastanza confuso da chiamare la creazione di fiabe “sussurrare una menzogna attraverso l’argento”.
“Caro Signore,” dissi, “benché sia ora lontano scacciato
l’Uomo non è del tutto perduto, né del tutto cambiato.
Dis-graziato può esserlo pure, ma non de-tronizzato,
ed i cenci della signoria di un tempo ha conservato:
l’Uomo, il Sub-creatore, è la riflessa luce
attraverso la quale dal Bianco si produce
una gamma di colori, senza fine combinati in viventi
forme che si muovono fra le menti.
Se tutte le fessure del mondo colmammo
con Elfi e Folletti, se creare osammo
gli Dei e le loro magioni dal buio e dalla luce
e seminammo semente di draghi – ciò era (a torto o a ragione)
nostro diritto. Questo diritto non è decaduto:
ancora creiamo secondo la legge che così ci ha voluto.”
La Fantasia è una naturale attività umana."
A piè di pagina c’è la Nota del curatore Christopher Tolkien: “L’argomento di questa poesia – qui citata in piccola parte – intitolata Mythopoeia (…) è la base della conversazione fra Tolkien e l’amico C.S. Lewis (l’uomo che riteneva miti e fiabe delle “menzogne”) avvenuta la sera del 19 settembre 1931 mentre passeggiavano lungo Addison Walk a Oxford. Fu in quella occasione che Tolkien “convertì” Lewis alla sua verità facendogli anche abbandonare il protestantesimo per il cattolicesimo”.
Due annotazioni. Certe chiacchierate sono talmente importanti che non solo te le ricordi anche dopo anni, ma segnano una svolta nella vita, ed è bello ricordarle così, con data e luogo, non solo per le vite dei grandi della letteratura, ma anche per le nostre. Anch’io ne ho in mente qualcuna, nella mia vita (anche se potrei dire l’anno, difficilmente il giorno).
Altra cosa. Tolkien ha insegnato a Lewis il valore della fiaba, Lewis l’ha insegnato a Gaiman. Tutti l’hanno fatto fruttificare. Sicuramente non solo loro, di cui sappiamo: molti altri forse nelle loro case, nelle loro scuole, nei circoli di amici. Questo significa che quando capiamo qualcosa, non importa se grande o piccolo, lo dobbiamo trasmettere, condividere, non ne dobbiamo essere avari né vergognosi, perché così diviene una ricchezza per tutti, un patrimonio comune che può svilupparsi ancor più.
E questa idea fu proprio il senso di una conversazione avuta a Faenza con alcuni cari amici…
Ops! Vedo ora che ne hanno fatto una nuova traduzione, in un'edizione di Feltrinelli con prefazione di Virginia Woolf, introduzione di Giles Lytton Strachey e traduzione di Rosa Tavelli...chissà com'è tradotta qui la poesia di Howl (per me si chiamerà sempre così) in italiano?
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