sabato 19 novembre 2011

Terry Pratchett, A me le guardie!

Terry Pratchett 
A me le guardie! 



Ecco il primo libro della saga di Mondo Disco che si occupa della Guardia cittadina, veramente ben fatto, divertente e non convenzionale. I personaggi sono impagabili: Samuel Vimes, il Patrizio, Nobby, il sergente Colon, Carota (straordinario) e Lady Sybil Ramkin (strabiliante personaggio: una lady che è tutto tranne che chic; la scena in cui Vimes la solleva per portarla lontana dal drago è esilarante, come la gran parte delle altre che la riguardano). L’autore ha la capacità di trattare temi importanti (la democrazia, la libertà, l’uguaglianza, l’onore, lo stato della società…) senza che le riflessioni divengano mai noiose o pedanti, anzi, la trama è così ben congegnata e i personaggi sono così credibili e interessanti che la lettura scorre sempre veloce e lieve.

I protagonisti sono uomini comuni, di solito mal visti o semplicemente considerati indegni d’ogni attenzione, come dice nella dedica: “Potete chiamarli Guardie di Palazzo, Guardie Cittadine o Guardie e basta. Qualunque nome abbiano, in ogni opera di genere fantasy-eroico il loro scopo è lo stesso: più o meno al capitolo 3 (o dopo dieci minuti di film) irrompono nella stanza, attaccano l’eroe uno alla volta e vengono massacrati. Nessuno chiede mai se sono d’accordo. Questo libro è dedicato a quei nobilissimi uomini.” (pag 5).
E’ proprio vero. Chi non si è mai chiesto: ma sono stupidi? Perché non lo colpiscono mai e lui li colpisce sempre? Cosa aspettano là dietro? Perché non lo affrontano tutti insieme? Perché non gli sparano tutti insieme? Va bene l’onore, ma muoiono come mosche…

Il sergente Colon: “Quello era un uomo che amava il buio. Il sergente Colon doveva trent’anni di felice matrimonio al fatto che la signora Colon lavorava  tutto il giorno e lui tutta la notte. Comunicavano tra loro lasciandosi bigliettini. Lui le preparava il tè prima di partire di notte e lei gli lasciava la colazione pronta e calda nel forno di mattina. Avevano tre figli ormai grandi, tutti nati, immaginava Vimes, dal risultato di una corrispondenza estremamente persuasiva.” (pag. 56)

Nobby: “E poi c’era il caporale Nobbs…be’, chiunque assomigliasse a Nobby aveva infinite ragioni per non desiderare di essere visto dagli altri. (…) L’unica ragione per cui non si poteva dire che Nobby fosse prossimo al regno animale era che il regno animale si sarebbe alzato e allontanato.” (pag. 56).

Vimes, radicalmente democratico e con convinzioni egualitarie, continuamente preso tra coraggio e paura, tra intraprendenza e abulia; che secondo i suoi uomini è più sobrio della gente normale, quindi beve per tornare in pari rispetto all’alcol che ogni essere umano ha naturalmente in corpo; che ama e odia la sua città con un sentimento viscerale e acuto; che afferra mannaie dato che le preferisce alle spade e che non accetta la visione cinica sulla gente che il patrizio gli propone; che ha “uno stile cinico e graffiante”, come riconoscono i suoi uomini.

“Nessun maledetto tritone volante può mandare a fuoco la mia città.” “Pensi solo al contributo alla saga dei draghi” continuò Lady Ramkin. “Senta, se qualcuno dovrà mai mandare a fuoco questa città, quello sarò io”. (pag 149).

“Non può ridarmi il lavoro” ripeté Vimes. “Non me lo avrebbe mai potuto togliere. Non sono mai stato un ufficiale della città o un ufficiale del re o un ufficiale del Patrizio. Ero un ufficiale della Legge. Poteva anche essere corrotta e imprecisa ma era sempre legge, a suo modo. Adesso non esiste altra legge eccetto: “Ti brucio vivo se non stai attento.” Che posto ci sarebbe per me?” (pag. 277).

“Vimes mezzo corse, mezzo barcollò sui ciottoli umidi, senza fiato e senza tempo.
Non può andare così, pensò freneticamente. L’eroe se la cava sempre, ma arriva proprio all’ultimissimo istante. Solo che l’ultimissimo istante era probabilmente stato cinque minuti prima.
Io non sono un eroe. Sono fuori forma, ho bisogno di un goccetto e prendo una manciata di dollari al mese con un buono per le piume. Non è la paga di un eroe. Gli eroi ottengono regni e principesse, si allenano regolarmente e quando sorridono la luce gli scintilla sui denti, ting! Bastardi.” (pag 307).

Importante la conversazione col Patrizio alla fine della vicenda, che potrebbe essere una chiosa o una variante letterariamente leggera de La banalità del male della Arendt o di Modernità e olocausto di Bauman.

“Io credo che lei trovi la vita così problematica perché pensa che ci sono le persone buone e le persone cattive” disse il Patrizio. “Ovviamente si sbaglia. Ci sono, sempre e solo, le persone cattive, ma alcune di esse si trovano su sponde opposte”. Indicò con la mano sottile la città e si avvicinò alla finestra.
“Un grande ruggente mare di male” commentò, quasi fosse di sua proprietà. “Più basso in alcuni punti, ovviamente, ma più profondo, oh, così più profondo in altri. Ma la gente come lei mette insieme piccole zattere di regole e confuse buone intenzioni e dice, questo è l’opposto, questo trionferà, alla fine. Sbalorditivo!” Dette una amichevole pacca sulla spalla a Vimes.
“Laggiù” proseguì, “c’è gente che seguirà qualsiasi drago, venererà qualsiasi dio, tollererà ogni iniquità. Tutto a causa di una specie di monotona cattiveria quotidiana. Non la malvagità veramente alta e creativa dei grandi peccatori, ma una specie di oscurità dell’anima massificata. Si potrebbe definirlo peccato senza una traccia di originalità. Accettano il male non perché dicono  ma perché non dicono no. Mi dispiace se questo la offende” aggiunse dandogli un’altra pacca sulla spalla, “ma gente come voi ha davvero bisogno di noi”.
“Davvero, signore?” domandò Vimes pacatamente.
“Oh, sì. Noi siamo gli unici che sanno come far funzionare le cose. Vede, l’unica cosa che la gente buona sa fare bene è rovesciare quella cattiva. E in questo siete davvero bravi, glielo garantisco. Il problema però è che è l’unica cosa in cui siete bravi. Un giorno si suonano le campane e si abbatte il malefico tiranno e il giorno dopo tutti si ritrovano seduti in cerchio a lamentarsi del fatto che da quando il tiranno è stato ribaltato non c’è nessuno che porta via la spazzatura. Perché le persone cattive sanno come pianificare. Si potrebbe dire che fa parte delle specifiche. La gente buona sembra non averne il pallino”.
“Forse. Però si sbaglia sul resto!” esclamò Vimes. “E’ solo perché la gente ha paura ed è sola…”Si interruppe. La scusante sembrava piuttosto vuota, perfino a lui.
Egli alzò le spalle. “Sono soltanto persone” aggiunse. “Fanno solo quello che fanno le persone. Signore”.
Lord Vetinari gli fece un ampio sorriso.
“Ma certo, ma certo” disse. “Lei deve crederlo per forza, lo capisco. Altrimenti diventerebbe pazzo. Alrimenti penserebbe di trovarsi su un ponte sottile come una piuma sopra le volte dell’Inferno. Altrimenti l’esistenza non sarebbe che una oscura agonia e l’unica speranza sarebbe la non esistenza della vita dopo la morte. Capisco”.
Guardò la propria scrivania e sospirò. “E adesso” disse “ci sono molte cose da fare. (…) Può andare”. (…)
“Ho detto” ribadì, “che può andare”.
Vimes si fermò presso la porta.
“Ma lei ci crede davvero, signore?” domandò. “All’infinito male e alla pura oscurità?”
“Certo, certo” rispose il patrizio voltando la pagina. “E’ l’unica conclusione logica”.
“Ma lei si alza tutte le mattine dal letto, signore?”
“Eh? Sì? Dove vuole andare a parare?”
“Vorrei soltanto sapere perché, signore.”
“Oh, se ne vada, Vimes. Lei è un brav’uomo.”
(pagg. 341-342).

Grande Vimes: riesce a contrastare le ciniche parole del Patrizio attraverso: la ricerca della motivazione, la comune umanità, il fatto che un’idea o l’altra siano comunque scelte, non verità di fatto (ma lei ci crede davvero), e infine il richiamo alla scelta etica che motiva l’impegno nell’esistenza e ne svela il senso.

Inoltre, il grande protagonista del libro è il drago. Bellissima figura, rielaborata e presentata con cura.

“E’ lì che sono andati a finire i draghi.
Giacciono…
Non morti, non addormentati. Non in attesa perché ciò implicherebbe aspettative. Forse il termine che stiamo cercando è…quiescenti.
Anche se lo spazio che occupano non è come lo spazio normale, sono comunque ammassati tutti insieme. Non c’è un singolo centimetro cubo che non dia alloggio a un artiglio, un unghione, una squama o la punta di una coda così che l’effetto è quello di un disegno deformante e solo alla fine gli occhi realizzano che lo spazio fra ogni dragone è, in realtà, un altro dragone.
Potrebbero rammentare una scatola di sardine, se le sardine fossero enormi, squamose, orgogliose e arroganti.
Forse, poi, da qualche parte, c’è la chiave.” (pag 7)

“Non c’era praticamente nulla che il drago potesse fare alle persone che quelle non avessero presto o tardi già fatto l’una all’altra, spesso con entusiasmo.
Hai la sfrontatezza di essere schifiltoso, pensò il drago dentro di lui. Ma noi eravamo draghiNoi dovevamo essere crudeli, astuti, insensibili e terribiliQuesto però te lo posso dire, scimmia: (..) non ci siamo mai bruciati, torturati e massacrati a vicenda chiamando la cosa “morale”.” (pag. 256)

“Vimes guardò di sbieco la complicata scrittura.
Eppur i draghi non sono come gli unicorni, io temo. Essi dimorano in Regni definiti dai Capricci della Volontà e quindi potrebbe darsi che chiunque li richiama e fornisce loro un sentiero per raggiungere questo mondo, richiama il Drago che ha nella propria mente.
Penso quindi che i Puri di Cuore possano richiamare un Drago di Potere come Forza del Bene nel mondo (…).
Regno del capriccio, pensò Vimes. Ecco dove andavano, allora. Nelle nostre immaginazioni. E quando li richiamiamo indietro li forgiamo noi, come quando mettiamo la pasta in forme di pasticceria. Solo che qui non si ottengono omini di pan di zenzero, si ottiene quel che si è. Viene data forma alla propria oscurità…” (pagg. 342-343).

E l’invenzione dello spazio-B, una sorta di incrocio di altre dimensioni che si crea negli spazi quantici tra i libri e gli scaffali delle biblioteche.

“I libri deformano lo spazio e il tempo. Un motivo per cui i proprietari dei sopracitati negozietti angusti e disordinati di libri usati sembrano sempre un po’ fuori dal mondo è che molti di essi in effetti lo sono, essendo scivolati in questo mondo dopo avere svoltato nel punto sbagliato nelle loro librerie, in mondi in cui è pratica comune nel commercio indossare sempre pantofole di flanella e aprire il negozio soltanto quando se ne ha voglia. Ci si inoltra nello spazio-B a proprio rischio e pericolo.
Bibliotecari molto anziani, tuttavia, una volta dimostratisi capaci di eseguire valorosi atti di bibliotecarismo, vengono ammessi in un ordine segreto ed edotti nella cruda arte della sopravvivenza al d là delle Scansie che Conosciamo.” (pag 191).

Nello spazio-B il bibliotecario ha la tentazione di alterare il corso delle cose, ma…“Le tre regole dei Bibliotecari di Spazio e Tempo sono: 1) Silenzio; 2) I libri devono essere restituiti non oltre la data segnata; 3) Non interferire con la natura della causalità.” (pag. 225).
Proprio un bel libro.

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