Se non avete mai letto Buzzati, fatelo ora. Adesso. Ci sono racconti che valgono per il tempo presente, ad esempio questo che metto sotto.
Da Il colombre, in cui dovete assolutamente leggere anche, oltre al racconto che dà il titolo alla raccolta, La creazione, in cui Dio e gli angeli si ingegnano per creare bene; L'arma segreta, con uno scontro tra le due superpotenze che finisce in modo emblematico; Povero bambino, che ci introduce nei meandri della formazione di una psiche diciamo solo non comune; Cacciatori di vecchi, sull'odio per il diverso e il fatto che poi tu lo diventi; L'uovo, sulla forza delle madri; La torre Eiffel, bellissimo, un'opera breve e poetica sulle torri che mi ha fatto pensare a Lo stemma cittadino di Kafka.
Poi, da Sessanta racconti: Sette piani, emblema dell'assurdo della burocrazia applicata alla sanità, L'uccisione del drago, sul nemico che tale non è e la minaccia che tu crei e di cui diventi vittima; Una cosa che comincia per elle, sulla malattia e l'essere trattati come paria; La canzone di guerra, sull'insensatezza dei conflitti; la bellissima poesia Inviti superflui; L'uomo che volle guarire, su come ottenere quello che desideriamo ci cambia profondamente; Era proibito, sulle subdole forme di censura e sulla resistenza; Una lettera d'amore, su come ci facciamo distrarre dal tran tran quotidiano e dimentichiamo l'essenza; La parola proibita, su come ci si abitua all'eliminazione della parola e quindi di parte del pensiero.
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Dino Buzzati, La lezione del 1980
da Il colombre e altri racconti
Stufo finalmente di tante beghe, il Padre Eterno decise di dare agli uomini una salutare lezione.
Alla mezzanotte precisa di martedì 31 dicembre 1979, il capo del governo sovietico, Pietro Semionovic Kurulin, morì d’un colpo secco. Stava giusto brindando al nuovo anno, durante un ricevimento ai rappresentanti della Federazione democratica dell’Africa orientale – ed era al dodicesimo bicchierino di vodka – quando il sorriso gli si spense sulle labbra e lui piombò a terra come un sacco di cemento, fra la costernazione generale.
Il mondo fu scosso da opposte reazioni.
Si era giunti a una delle punte più acute e pericolose della guerra fredda, quale forse non si era avuta mai. Il motivo occasionale della tensione fra blocco comunista e blocco occidentale era la disputa per il possesso del cratere Copernico, sulla Luna.
Nel vasto comprensorio, ricco di metalli rari, si trovavano forze di occupazione americane e sovietiche; le prime concentrate in una ristretta zona centrale, le altre tutto all’intorno.
Chi vi era sceso per primo? Chi poteva vantare un diritto di precedenza?
Proprio qualche giorno prima, cioè alla vigilia di Natale – gesto che fu giudicato di pessimo gusto nei paesi liberi – Kurulin, a proposito del cratere di Copernico, aveva tenuto un discorso assai rude, sottolineando senza mezzi termini la superiorità sovietica in fatto di “mezzi decompressivi” (le bombe termonucleari, già usate un tempo come spauracchio nei conflitti internazionali, erano ormai un polveroso vecchiume).
«I responsabili di questa nuova aggressione capitalista» aveva detto in uno stile che ricordava la buon’anima di Kruscev «vogliono fare i conti senza l’oste? Nel giro di venticinque secondi noi oggi siamo in grado di far scoppiare come tanti palloncini tutti gli abitanti dei loro rispettivi Paesi.» E alludeva appunto ai dispositivi segreti per annullare su vaste aree la pressione atmosferica, con tutte le funeste conseguenze del caso.
Abituati ormai all’eloquenza alquanto greve del grande rivale, gli occidentali non avevano naturalmente preso troppo alla lettera la sfuriata di Kurulin. Non se ne erano però nascosti la gravità. Si profilava insomma, sulla Luna, una nuova Dien Bien-phu moltiplicata per cento.
La improvvisa scomparsa di Kurulin fu quindi di immenso sollievo per l’America. Come del resto i suoi predecessori, egli aveva accentrato in sé la massima somma dei poteri. Per quanto – almeno in apparenza – non esistesse opposizione interna, la sua poteva considerarsi una politica del tutto personale. Tolto di mezzo lui, a Mosca ci sarebbe stata inevitabilmente una crisi di incertezza e sbandamento. Comunque, la pressione diplomatico-militare da parte sovietica si sarebbe allentata di molto.
Simmetricamente, fu grande lo sgomento in campo russo. Tanto più che il disdegnoso isolamento della Cina non lasciava presagire nulla di buono. Nel popolo, inoltre, il decesso del dittatore nell’istante che stava per cominciare un nuovo decennio (un altro piano ventennale doveva essere varato in quei giorni) fece una brutta impressione: era istintivo leggervi un sinistro presagio.
Senonché, l’anno appena nato si rivelò ricco di imprevisti.
Esattamente una settimana dopo, alla mezzanotte cioè di martedì 7 gennaio, qualcosa che aveva tutte le apparenze dell’infarto fulminò al tavolo di lavoro, mentre conferiva col segretario per la marina da guerra, il presidente degli Stati Uniti, Samuel E. Fredrikson, il pugnace tecnico e pioniere, simbolo dell’intrepido spirito nazionale, primo americano che aveva messo i piedi sulla Luna.
Che a distanza di una settimana esatta i due massimi antagonisti della contesa mondiale fossero spariti di scena provocò una emozione indicibile.
Proprio a mezzanotte tutti e due?
Chi parlò di assassinio ad opera di una setta segreta, chi fantasticò di un intervento di forze extraterrestri, chi sospettò una specie di “giudizio di Dio”. Fatto è che i commentatori politici non sapevano più a che santo votarsi. Sì, poteva anche essere una pura coincidenza fortuita. Ma l’ipotesi non era facile da digerire: sia Kurulin sia Fredrikson avevano goduto fino allora una salute di ferro.
Mentre a Mosca il potere era stato assunto ad interim da una regia collegiale, a Washington, per Costituzione, la carica suprema automaticamente passò al vicepresidente, Victor S. Klement, saggio amministratore e giurista ultrasessantenne, già governatore del Nebraska.
La notte del 14 gennaio 1980, martedì, come l’orologio sopra il caminetto acceso ebbe battuto dodici colpi, Mr. Klement, che stava leggendo un libro giallo seduto in poltrona accanto al fuoco, lasciò cadere il volume, reclinò dolcemente il capo in avanti e così rimase. Le cure dei familiari e quindi dei medici accorsi non servirono a niente. Anche Klement era trasmigrato nel regno dei più.
Questa volta una ondata di superstizioso terrore passò sul mondo. No, parlare di caso non era più possibile.
Una potestà sovrumana si era messa in azione per colpire a scadenza fissa, con precisione matematica, i grandi della Terra. E gli osservatori più acuti credettero di aver decifrato il meccanismo dello spaventoso fenomeno: per un decreto superiore, la morte portava via, ogni settimana, colui che in quel momento era, fra gli uomini, il più potente di tutti.
Tre casi, sia pure singolarissimi, non consentivano certo di formulare una legge. L’interpretazione tuttavia colpì le fantasie e si presentò un interrogativo: a chi toccherà martedì prossimo? Dopo Kurulin, Fredrikson e .Klement, chi è l’uomo più potente della Terra destinato a perire? In tutta il mondo ci fu una febbre di scommesse per questa corsa alla morte.
Fu una settimana indimenticabile per la tensione degli animi.
Chi si occupava più del cratere di Copernico? Più di un capo di Stato era combattuto fra l’orgoglio e la paura: da una parte l’idea di essere prescelto al sacrificio del martedì notte lo lusingava, quale dimostrazione della propria autorità; dall’altra l’istinto di conservazione faceva sentire la sua voce.
Il mattino del 21 gennaio, Lu Ci-min, l’ermetico capo della Cina, convinto, più o meno presuntuosamente, che fosse venuto il suo turno, per dimostrare la sua indipendenza dalla volontà dell’Eterno, ateo com’era, si tolse la vita.
Contemporaneamente il vecchissimo De Gaulle, ormai mitico Signore della Francia, persuaso pure lui di essere l’eletto, tenne, con quel che gli restava di voce, un nobile discorso di commiato al suo Paese, raggiungendo, a detta di molti, il più alto vertice dell’eloquenza, nonostante il grave peso dei novant’anni. Si constatò, allora, come l’ambizione potesse soverchiare ogni cosa. C’erano uomini felici di morire, purché la morte dimostrasse la loro preminenza sul restante genere umana.
Ma, con sua amara delusione, De Gaulle varcò la mezzanotte in ottima salute.
A morire d’un colpo, fra la stupefazione di tutti, fu invece Koccio, il dinamico presidente della Federazione dell’ Africa Occidentale, che fino allora aveva goduto, più che altro, la fama di simpatico istrione. Poi si venne a sapere che, nel centro di studi da lui creato a Busundu, era stato trovato il modo di disidratare le cose e le persone a distanza, ciò che costituiva una tremenda risorsa bellica.
Dopodiché – la legge del “muore il più potente” avendo trovata conferma – si verificò un fuggi fuggi generale dalle cariche più alte e fino a ieri più ambite.
Quasi tutti i seggi presidenziali rimasero vacanti.
Il potere, già avidamente agognato, scottava fra le mani.
Fu, tra i pezzi grossi della politica, dell’industria e della finanza, una corsa disperata a chi dimostrasse di contare meno. Tutti si facevano piccoli, abbassavano le ali, ostentavano nero pessimismo sulla sorte del proprio Paese, del proprio partito, delle proprie imprese.
Il mondo capovolto.
Uno spettacolo che sarebbe stato esilarante se non ci fosse stato l’incubo del prossimo martedì sera.
E anche alla mezzanotte del quinto martedì, e poi del sesto, e poi del settimo, furono fatti fuori, nell’ordine: Hosei, il vice-presidente della Cina, Fhaten-Nissam, l’eminenza grigia del Cairo e il venerando Kalten-Brenner, detto il “sultano della Ruhr”.
Le vittime, in seguito, vennero falciate fra uomini di minore levatura.
La defezione dei titolari, spaventati, aveva lasciato deserti i posti eminenti di dominio. Solo il vecchio De Gaulle, imperterrito come sempre, non aveva mollato lo scettro. Ma la morte, chissà perché, non gli diede soddisfazione. Egli fu anzi l’unica eccezione alla regola. Caddero, infatti, alle scadenze dei martedì notte, personaggi di gran lunga meno autorevoli di lui. Che il Padre Eterno, fingendo di ignorarlo, gli volesse impartire una lezione di umiltà?
Dopo un paio di mesi non esisteva più un dittatore, un Capo di Governo, un leader di grande partito, un direttore generale di grossa industria.
Che bellezza. Tutti dimissionari.
Alla guida di Nazioni e aziende rimasero organi collegiali paritetici, in cui ciascun membro stava bene attento a non sopravanzare i colleghi. Nello stesso tempo gli uomini più ricchi del mondo si sbarazzavano a precipizio del loro esagerato cumulo di miliardi con gigantesche elargizioni benefiche, opere sociali e mecenatismi artistici.
Si giunse a paradossi inauditi. Nella campagna elettorale in Argentina il Presidente Hermosino, temendo i voti come la peste, diffamò talmente se stesso che venne incriminato per vilipendio del capo dello Stato. Sull’ ”Unità” di Roma comparvero luttuosi editoriali che proclamavano il completo disfacimento del P.C.I., in realtà ancora efficientissimo. A scriverli era lo stesso onorevole Cannizzaro, leader del partito, che, affezionato com’era alla carica, non aveva voluto dimettersi, ma cercava così, surretiziamente, di evitare il colpo del destino.
E il campione mondiale dei pesi massimi, Vasco Bolota, si fece inoculare la malaria, per deperire, anche l’aitanza fisica essendo un segno pericoloso di potenza.
Nelle liti, internazionali, nazionali e private, ciascuno dava ragione all’avversario, cercava di essere il più debole, il più remissivo, il più sprovveduto. Il cratere di Copernico venne equamente spartito fra sovietici e americani. I capitalisti cedevano le loro aziende ai lavoratori e i lavoratori li supplicavano di tenersele ancora. Nel giro di pochi giorni si giunse a un accordo per il disarmo totale. Le vecchie scorte di bombe furono fatte esplodere nelle vicinanze di Saturno, che ne ebbe rotti un paio di anelli.
Dopo neanche sei mesi, ogni pericolo di conflitto anche locale era svanito. Che dico conflitto? Neppure controversie, odi, litigi, polemiche, animosità, sussistevano più. Cessati l’assalto al potere e la smania del predominio, si vide che dovunque si stabilivano automaticamente la giustizia e la pace. Di cui, grazie al Cielo, continuiamo a godere dopo anni.
Perché, se appena qualche ambizioso, dimenticando la lezione del 1980, tenta di alzare la testa sopra gli altri, la invisibile falce, la fa volar via, sempre alla mezzanotte del martedì.
Le “esecuzioni” settimanali cessarono a metà ottobre. Non ce n’era più bisogno. Erano bastati una quarantina di infarti ben collocati per sistemare le cose sulla Terra. Le ultime vittime furono figure di secondo piano, ma il mercato mondiale non offriva di meglio in fatto di personaggi. Solo il decrepito De Gaulle continuò a essere ostinatamente ignorato.
La penultima fu George A. Switt (detto Sweet), celebre annunciatore della stereotelevisione americana. Molti se ne stupirono. Ma in realtà godeva di un prestigio formidabile, solo che avesse voluto avrebbe potuto attingere alle più alte cariche della Confederazione. Interrogato in merito, il noto magnate del turf conte Mike Bongiorno, il quale da giovane, negli anni cinquanta, era stato un famoso telepresentatore in Italia, dichiarò di non essersi affatto meravigliato della cosa. Egli stesso, ai suoi tempi, disse, si era accorto di detenere, suo malgrado, un potere pressoché illimitato; e una Nazione straniera (non rivelò il nome) gli aveva offerto mari e monti affinché, con una parola, egli sollevasse alla rivolta il popolo italiano, così da poter instaurare un certo regime (non specificò quale). Ma per patriottismo, benché avesse passaporto americano, lui aveva risposto di no.