martedì 26 giugno 2012

La mia Africa, di Karen Blixen



Bellissimo, commovente, scritto divinamente.
Ho finalmente letto La mia Africa di Karen Blixen, superando la fatica del confronto con il film, che io adoro, e il pensiero che le persone di cui la Blixen parla siano tutte morte e non ne rimanga traccia se non nel suo libro e in pochi altri luoghi. Questo mi aveva sempre fermato, in passato, oltre al fatto che, ovviamente, quando leggevo qualche brano su Denys mi venivano le lacrime agli occhi e interrompevo la lettura per troppa commozione.
Sì, ci sono alcuni elementi datati, come è ovvio che sia; sì, la scrittrice presuppone che noi conosciamo bene non solo le lingue europee, ma anche le loro letterature, per cui interpone spesso e volentieri citazioni (senza fonte, of course) di altri noti autori; sì, la scrittrice vive in un mondo in cui il riferimento biblico era ovvio e spontaneo, anche solo in modo proverbiale o di riferimento esemplare (e ringrazio Dio di poterli riconoscere), e in cui non si aveva paura di ragionare su Dio tra persone di fedi diverse. Grazie o nonostante tutto questo il libro è ancora un capolavoro. La descrizione dei rapporti umani, della vita in Africa, della natura, dei contrasti e degli incontri tra persone sono magistrali. Non è davvero un caso che alcuni suoi brani siano dei classici delle antologie per le scuole medie e superiori.
E ci sono una levità e una dignità che ormai trovo difficilmente nella letteratura, e una profondità di pensiero, di riflessione, di esperienza distillata e arricchita dal tempo che non sono davvero usuali né facili.

L'incipit.

In Africa avevo una fattoria ai piedi degli altipiani del Ngong. A centocinquanta chilometri più a nord su quegli altipiani passava l'equatore; eravamo a milleottocento metri sul livello del mare. Di giorno si sentiva di essere in alto, vicino al sole, ma i mattini, come la sera, erano limpidi e calmi, e di notte faceva freddo.



Altri brani molto belli.

“I bianchi cercano in tutti i modi di proteggersi dall'ignoto e dagli assalti del fato; l’indigeno, invece, considera il destino un amico, perché è nelle sue mani da sempre; per lui, in un certo senso, è la sua casa, l’oscurità familiare della capanna, il solco profondo delle sue radici.”

“A visitor is a friend, he brings news, good or bad, which is bread to the hungry minds in lonely places. A real friend who comes to the house is a heavenly messenger, who brings the panis angelorum.” 
“Perhaps he knew, as I did not, that the Earth was made round so that we would not see too far down the road.” 
“The Cicada sing an endless song in the long grass, smells run along the earth and falling stars run over the sky, like tears over a cheek. You are the privileged person to whom everything is taken. The Kings of Tarshish shall bring gifts.”

“The air was cold to the lungs, the long grass dripping wet, and the herbs on it gave out their spiced astringent scent. In a little while on all sides the Cicada would begin to sing. The grass was me , and the air, the distant invisible mountains were me, the tired oxen were me. I breathed with the slight night-wind in the thorn trees.”
“When in the end, the day came on which I was going away, I learned the strange learning that things can happen which we ourselves cannot possibly imagine, either beforehand, or at the time when they are taking place, or afterwards when we look back on them.”







Il brano che mi fa sempre salire le lacrime agli occhi, sia alla lettura che durante la visione del film.

"Ora io so una canzone dell'Africa - pensavo - una canzone della giraffa e della luna nuova sdraiata sul dorso, dell'aratro nei campi e dei visi sudati degli uomini che raccoglievano il caffé - ma sa l'Africa una canzone che parla di me? Vibra nell'aria della pianura il barlume di un colore che io ho portato, c'è fra i giuochi dei bambini un giuoco che abbia il mio nome, proietta la luna piena, sulla ghiaia del viale, un'ombra che mi somiglia, vanno in cerca di me le aquile del Ngong?"

"Io conosco il canto dell'Africa, della giraffa e della luna nuova africana distesa sul suo dorso, degli aratri nei campi e delle facce sudate delle raccoglitrici di caffè. Ma l'Africa conosce il mio canto? L'aria sulla pianura fremerà a un colore che io ho avuto su di me? E i bambini inventeranno un gioco nel quale ci sia il mio nome? O la luna piena farà un'ombra, sulla ghiaia del viale, che mi assomigli? E le aquile sulle colline Ngong guarderanno se ci sono?"
Questa è la traduzione scelta dal film, ottimamente recitata dalla doppiatrice italiana: http://www.youtube.com/watch?v=FQhtijYH4VI

In inglese, dato che la traduzione è fatta dall'inglese e non dal danese (ma non mi lamento, perché è davvero una bella traduzione):

“If I know a song of Africa, of the giraffe and the African new moon lying on her back, of the plows in the fields and the sweaty faces of the coffee pickers, does Africa know a song of me? Will the air over the plain quiver with a color that I have had on, or the children invent a game in which my name is, or the full moon throw a shadow over the gravel of the drive that was like me, or will the eagles of the Ngong Hills look out for me?” 


Dal sito su Karen Blixen, http://www.karenblixen.com/


Hegemony and Hollywood: A Critique of Cinematic Distortions of Women of Color and Their Stories by Brenda Cooper, Utah State University: "Dinesen poignantly expressed her grief over the changes the European settlers had forced on Kenyans and their culture, and her compassion for their struggles to maintain their identity and dignity. In the film, however, Dinesen is recast as one of the 'offending European settlers, forcing her will on the native people without any sensitivity to their wishes or culture' (Cooper & Descutner, p. 240). Further, the compassion Dinesen expressed for the country and its people in her autobiography are appropriated by the film's leading male character, Denys Finch Hatton."


“There was a place in the Hills, on the first ridge in the Game Reserve, that I myself at the time when I thought that I was to live and die in Africa, had pointed out to Denys as my future burial-place. In the evening, while we sat and looked at the hills from my house, he remarked that then he would like to be buried there himself as well. Since then, sometimes when we drove out in the hills, Denys had said: "Let us drive as far as our graves.” 


C'è nello stesso sito una pagina in cui si parla della tomba di Denys Finch-Hatton, e di come ancora oggi sia possibile visitarla. Nelle pagine del sito su Denys si può anche leggere il compianto scritto da coloro che furono suoi compagni a Eton. E' commovente, per quanto un po' retorico, e soprattutto rende davvero bene il carattere dell'uomo.
http://www.karenblixen.com/question69a.html

Spero di poter aggiungere altre citazioni, ma sono talmente tante le frasi del libro che mi hanno colpito e che ho sottolineato, che dovrò avere un considerevole lasso di tempo disteso davanti a me...


2 commenti:

  1. Non riesco a inserire un commento. Vorrei ringraziarla per questa bel post sul mio libro, film del cuore. Per gli spunti , per le ragazze dalle labbra rosa ed il piede leggero......Amo la scrittrice, il libro , il film...Amo Redford e chi se non lui poteva esprimere al meglio Denys !! Grazie e spero che adesso mi posti queste righe , Meri Vannucchi

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    1. Cara Meri, come vede è andato tutto bene, ecco qui il post! La ringrazio molto per l'apprezzamento. Era tanto che volevo fare questo post, e quando l'ho scritto non sono riuscita a curarlo come avrei voluto, ma credo che l'intensità e la forza del libro e del film siano tali che, nonostante i miei limiti, riescano ad emergere lo stesso. Io non mi stanco mai di guardare il film, e ora il libro è nel cassetto del comodino per essere riletto, ogni tanto, di sera. La ringrazio ancora per le sue parole: il mio blog è una piccola esperienza, e i commenti come i suoi mi fanno capire che si possono trovare risonanze e consonanze davvero positive, e questo mi porta a non perdere la voglia di annotare pensieri, sensazioni, riflessioni. Spero di risentirla e le auguro ottime cose.

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