mercoledì 11 agosto 2021

Elogio di Katniss

Raramente riesco a parlare prima di aver letto abbastanza, essermi fatta un'idea, aver sviluppato un mio pensiero su un certo tema.

Ad esempio, sto ancora meditando sull'uso distorto della parola "scienza" collegata a "verità" ed "evidenze", in collegamento a quel che ricordo di Popper (falsificabilità delle teorie scientifiche); sto ancora ragionando sul significato di stato etico, in coincidenza con un sistema che ritiene che un giudice possa decidere senza informarmi che mia figlia minorenne abortisca e che possa vaccinarsi anche se io sono contraria, salvo poi che io sia responsabile per tutti gli illeciti che possa compiere.

Ebbene, a volte le mie letture mi aiutano, anche dopo anni, a farmi un'idea su alcuni argomenti e capisco come vedo certi problemi perché dentro ho le parole, sì proprio come Il paziente inglese, che aveva le informazioni, "come un mare dentro di sé". Sento le stonature. Avverto prepotentemente la falsità, l'ipocrisia, a volte non dall'inizio, sono molto ingenua e afflitta da un'insopportabile fiducia negli esseri umani, ma poi, come una rivelazione, vedo e allora cambia tutto, con una rivoluzione copernicana. Il 23 luglio, non me lo dimenticherò.

E poi ricordo. Ho memoria di quello che le persone hanno detto e fatto, non precisamente, con dati, parole e giorni, non potrei citare, ma so che aveva detto l'esatto contrario, aveva sostenuto l'esatto contrario, e allora chiudo con quella persona, quel movimento, quel partito.

Prima di parlare di Katniss, devo dire quali frasi mi risuonano oggi.

"O io, o lui, o entrambi moriremo!" Romeo e Giuletta, lo sento con la voce di Di Caprio. Tutti moriamo, prima o poi, la demonizzazione e rimozione della morte non mi appartiene; questa radicale consapevolezza (memento mori) fa parte di me da sempre, ma io ho dato la vita, ho scelto di dare la vita, e la vita di mio figlio, che non mi appartiene, non appartiene a nessun altro, non la farò prendere a nessuno. 

"La vita è dolore e sofferenza, non solo per chi ha la lebbra, ma per tutti. Eppure, non c'è nessuno che non lotti per vivere quanto più possa", Principessa Mononoke. La vita non è un prato fiorito, un letto di rose, come il benessere occidentale ci ha fatto pensare, escludendo i cimiteri, i malati, i vecchi, gli storpi. E' una cecità occidentale, una visione parziale che oggi cerca di riproporsi buttandosi in una cieca e fideistica accettazione di tutto ciò che la "SCIENZA" propone o propina. 

So che non pare, ma sono una persona davvero molto ironica (o così mi piace pensare) e solare (perché così voglio essere: Film Blu), ma forse sono come Pavese, di cui Natalia Ginzburg scriveva che aveva un'ironia sottile, pungente, che non emergeva mai o quasi mai dai suoi scritti, che erano invece pieni di dolente consapevolezza del male del mondo, di amarezza. "Che il meglio di te sia per gli amici tuoi", diceva Gibran: mi piace pensare che agli amici possa ancora riservare qualche barlume di spensierato divertimento o di lucida ironia o di intelligente sarcasmo. Speriamo.

Bene, veniamo a Katniss.

Per anni non ho capito la sua figura, o meglio non l'ho apprezzata. Vengo da anni in cui i campioni del bene erano eroi ed eroine senza macchia, senza paura, senza tentennamenti, e lei mi spiazzava. Indecisa, su tante, troppe cose. Mera pedina di tante trame ordite da altri. Confusa sui suoi sentimenti, e alla lettura del primo libro e visione dei film per anni non ho capito perché scegliesse Peeta e non l'altro, che è pure fratello di Chris H., voglio dire pensa al patrimonio genetico dei tuoi figli. (Non ci pensiamo mai. L'amore è paradossale perché quando ti innamori, il patrimonio genetico dei tuoi figli non lo consideri proprio. E dopo, li ami così come sono. Forse sta qui il nocciolo dell'orrore della preordinazione genetica: vedere Gattaca, Lunamoonda).

Katniss arciera neanche così infallibile, incapace di esprimere sentimenti se non nelle circostanze estreme, quasi sempre manovrata e in bilico.

L'unica cosa che amavo era la scena finale, quella bucolica in cui lei, Peeta e la bambina sono tra i campi, lui gioca con la bambina e lei nutre il piccolino, perché anche se lei dovrebbe avere sui trent'anni e il trucco decisamente non riesce a darglieli, amo tutte le scene in cui si svela e rivela l'immaginario preraffaellita e londoniano che è sotteso all'utopia occidentale. Che penso mi consoli un po'. (Mi piace sempre, così, vedere Bella ed Edward che corrono tra i boschi al rallenty, con gli abiti bianchi svolazzanti, come in una pubblicità di Dior by Matteo Garrone; sebbene io apprezzi decisamente di più, come personaggio e come metafora, Jacob, ma questa è un'altra storia, e bisognerà parlarne un'altra volta.)

Infine ho capito. Siamo tutti stupidi, in un mondo più grande di noi e che tesse trame che non riusciamo a dipanare. Ero ingenua io, che pensavo che cause e motivi fossero spiegabili, visibili, indagabili. Tutti noi siamo come Katniss, i cui fili sono mossi da altri, e la cui libertà si riduce a poche scelte. Ma da allora ho potuto vedere quanto le sue scelte fossero fondamentali. Difendi i deboli. Proteggi fino alla fine coloro che ti sono affidati. Non andare in battaglia se non sei costretta, ma se vai, punta a vincere. Non sacrificare ciò che sei pur di vincere. Tra il più forte e il più debole, cambia il criterio di scelta: e non è detto che il suo, che amava di più chi più aveva bisogno di lei, sia poco proattivo e liberante. E' un concetto di amore che associamo al materno (le madri di figli problematici lo sanno bene, quanto l'amore per chi ha più problemi ti strugga il cuore più dell'amore per chi, tanto, se la caverà), e che io non avevo mai collegato a quello che di solito chiamiamo "amore tra pari", ma, in fondo...non è tanto essere pari, ma essere i due pezzi del puzzle. 

E così, nonostante la Jennifer non mi sconfinferi molto, Katniss ha ora un posto in me.







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