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venerdì 30 marzo 2018

Giuseppe figlio di Giacobbe. La natività, di Silvana De Mari


Finalmente la vide, e la sua mente restò abbagliata, perché lei era piena di grazia, di una grazia ancora più piena, ancora più totale di quella enorme che lui ricordava. Era una grazia infinita. Era qualcosa che irradiava e che tutti stavano sentendo, perché tutti erano abbagliati. Era qualcosa che avvicinava a Dio, che non era descrivibile. Giuseppe fu felice dei suoi venti anni, della sua forza, della sua stirpe che era quella di Davide. Fu felice di essere se stesso, per tutto quello che aveva da offrire.
(Pagg 39-40)

I suoi occhi si chiusero e fu allora che arrivò l'Angelo. Coloro che poi raccontarono questa storia narrarono che l'Angelo si presentò con il suo nome, Gabriele. In realtà non successe così, perché nel momento in cui Giuseppe lo vide, seppe che era Gabriele. Era una figura chiara e, alle sue spalle, si intravedevano le ali talmente intrise di luce che non si poteva distinguere dove avessero fine. Le ali contenevano il vento del deserto, l'odore del mare, il profumo dell'erba, il colore dell'alba, lo scintillio delle stelle. Le ali si perdevano nell'eterno, nell'infinito, si riempivano di qualcosa che conteneva tutta la bellezza, tutta la felicità.
(Pag 82-83)

Silvana De Mari, Giuseppe figlio di Giacobbe. La natività, Effatà editrice, Torino 2014.


giovedì 29 marzo 2018

Amen. Memorie di Isacco, di Margherita Oggero

Signore, perché hai dato ai cani un cuore fedele e innocente, perché li hai fatti grati a chi gli riserva una carezza e un tozzo di pane, mentre noi, fatti a Tua immagine e somiglianza, siamo capaci di mentire ingannare tradire e uccidere anche chi ci è più vicino per sangue o per altro vincolo?
Ci hai fatto dono del libero arbitrio, ma è un dono pericoloso come un coltello affilato nelle mani di un bambino cieco o di un ubriaco che ha dimenticato persino il suo nome.
Signore, perché ci hai fatto provare la pace dell'Eden e poi ci hai condannati all'inquietudine? Signore, è forse nell'inquietudine che è racchiusa la nostra somiglianza con Te? In quell'inquietudine amara che Ti fece pentire d'aver fatto l'uomo sulla terra e Ti spinse a sterminarlo insieme al bestiame, ai rettili e agli uccelli dei cieli, mentre soltanto Noè trovò grazia al Tuo cospetto?
(pagg 48-49)
Sto tornando dai campi e forse per la prima volta mi rendo pienamente conto della bellezza di un tramonto estivo, quando da lontano mi giunge un canto di donna, dolcissimo e melodioso. Ecco, la paternità, il tramonto e il canto si fondono insieme e mi regalano uno squarcio di appagamento consapevole, cioè di felicità.
Ma questi rari fiori che sbocciano tra i rovi compensano la fatica e le pene quotidiane?
Signore, è davvero un grande dono la vita? L'assenza, la quiete del non essere da cui ci hai tratto impastandoci col fango non era forse preferibile a questo breve passaggio nel mondo? Breve rispetto all'eternità, e pericoloso, perché in esso ci giochiamo la salvezza o la perdizione.
Padre, madre, moglie: tutti sepolti. I controversi e ambigui affetti della mia vita se ne sono andati prima di me. Li ho perdonati dal profondo del cuore per ogni asprezza e offesa nei miei confronti, così come spero abbiano fatto loro nei miei, però non sono riuscito a dimenticare: l'oblio e il perdono purtroppo non sono indissolubili, su questa terra almeno.
(Pagg 69-71)
E tu, Signore mio, che il tuo nome sua sempre benedetto, perché ci hai creati a tua immagine e somiglianza, ma non ci hai concesso di capirti?
(Pag 35)

Margherita Oggero, Amen. Memorie di Isacco, Effatà editrice, Torino 2014.



lunedì 29 maggio 2017

...si alzò e comprò un campo.

Le presenti riflessioni potranno apparire come dei sogni alieni dalla "realtà" a uomini, anche di chiesa, divorati dalla "concretezza" delle urgenze socio-politiche del momento. I sogni, però, quando sono fondati sulla parola di Dio - come ci ha insegnato Martin Luther King - sono infine ben più "concreti" del "realismo pratico" di chi non prende in attenta considerazione tutta la verità della parola del Signore. Anche a Geremia, in mezzo alla catastrofe del suo popolo e della sua patria, e stretto dalle angosce di una tristissima vicenda personale, la rivelazione del disegno divino della nuova alleanza apparve come un sogno. E, in effetti, si trattava di "un sogno di Dio", ben più reale delle nostre veglie ansiose, preoccupate solo dell'immediato; un sogno che continua a condizionarci tutti anche oggi. "A questo punto mi sono destato e ho guardato; il mio sogno mi parve soave" (Ger 31,26). E, di fronte alla fine di un mondo, invece di lasciarsi andare al lamento e alla disperazione, si alzò e comprò un campo (Ger 32).

Francesco Rossi De Gasperis, Cominciando da Gerusalemme, pagg. 225-226.

Fotografia di Sebastiana Papa, raffigurante una clarissa del convento di Cortona, esposta nella mostra Di Vari Credi al Museo di Roma in Trastevere, estate 2016.

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