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giovedì 29 marzo 2018

Amen. Memorie di Isacco, di Margherita Oggero

Signore, perché hai dato ai cani un cuore fedele e innocente, perché li hai fatti grati a chi gli riserva una carezza e un tozzo di pane, mentre noi, fatti a Tua immagine e somiglianza, siamo capaci di mentire ingannare tradire e uccidere anche chi ci è più vicino per sangue o per altro vincolo?
Ci hai fatto dono del libero arbitrio, ma è un dono pericoloso come un coltello affilato nelle mani di un bambino cieco o di un ubriaco che ha dimenticato persino il suo nome.
Signore, perché ci hai fatto provare la pace dell'Eden e poi ci hai condannati all'inquietudine? Signore, è forse nell'inquietudine che è racchiusa la nostra somiglianza con Te? In quell'inquietudine amara che Ti fece pentire d'aver fatto l'uomo sulla terra e Ti spinse a sterminarlo insieme al bestiame, ai rettili e agli uccelli dei cieli, mentre soltanto Noè trovò grazia al Tuo cospetto?
(pagg 48-49)
Sto tornando dai campi e forse per la prima volta mi rendo pienamente conto della bellezza di un tramonto estivo, quando da lontano mi giunge un canto di donna, dolcissimo e melodioso. Ecco, la paternità, il tramonto e il canto si fondono insieme e mi regalano uno squarcio di appagamento consapevole, cioè di felicità.
Ma questi rari fiori che sbocciano tra i rovi compensano la fatica e le pene quotidiane?
Signore, è davvero un grande dono la vita? L'assenza, la quiete del non essere da cui ci hai tratto impastandoci col fango non era forse preferibile a questo breve passaggio nel mondo? Breve rispetto all'eternità, e pericoloso, perché in esso ci giochiamo la salvezza o la perdizione.
Padre, madre, moglie: tutti sepolti. I controversi e ambigui affetti della mia vita se ne sono andati prima di me. Li ho perdonati dal profondo del cuore per ogni asprezza e offesa nei miei confronti, così come spero abbiano fatto loro nei miei, però non sono riuscito a dimenticare: l'oblio e il perdono purtroppo non sono indissolubili, su questa terra almeno.
(Pagg 69-71)
E tu, Signore mio, che il tuo nome sua sempre benedetto, perché ci hai creati a tua immagine e somiglianza, ma non ci hai concesso di capirti?
(Pag 35)

Margherita Oggero, Amen. Memorie di Isacco, Effatà editrice, Torino 2014.



martedì 17 febbraio 2015

Un colpo all'altezza del cuore, di Margherita Oggero

Un colpo all'altezza del cuoreUn colpo all'altezza del cuore by Margherita Oggero
My rating: 3 of 5 stars

I primi due libri della Oggero su Camilla Baudino sono fantastici. Umoristici, scritti con piglio, vivacità, pieni di riflessioni interessanti e di riferimenti colti ma non eruditi, coinvolgenti nella trama e anche un poco commoventi, capaci nella levità di farti riflettere sulla comune umanità, nei suoi picchi e nelle sue pecche. Dal terzo libro della serie, però, non avevo più trovato questi elementi, non in misura consistente.
E così è avvenuto anche in questo ultimo libro, di cui, delusa dagli ultimi, non avevo saputo niente fino all'altro giorno, quando mi è capitato sott'occhio in biblioteca. Ho pensato: chissà se Camilla si è ripresa, se è tornata sprint come agli inizi. E l'ho preso in prestito e letto.
Ahimé, la risposta è no. Camilla mi diviene una borghesuccia, Gaetano diviene insipido, i personaggi di contorno neanche si fanno ricordare, il giallo non intriga e non colpisce, la fine è deludente, perché non le viene dato corpo e senso nel libro. Ma soprattutto la Oggero non riacquista la prosa mossa e intensa che mi aveva conquistata ormai una decina di anni fa e la capacità di affabulazione che la contraddistingue ancor oggi ai miei occhi, e che avevo trovato in un altro suo romanzo, Risveglio a Parigi.
Perciò...mi vado a rileggere i primi due romanzi, La collega tatuata e Una piccola bestia ferita!



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venerdì 25 novembre 2011

Risveglio a Parigi




Tre amiche in viaggio a Parigi per realizzare una promessa fatta da ragazze. Non solo bagagli con loro, ma il figlio di una, e più che le aspettative le tre portano con sé stesse i loro problemi, le questioni, le cose irrisolte. Romanzo a più voci, in cui colpiscono quelle più inaspettate. Nella vicenda e nell’investigare su di sé e gli altri ciascuna riesce a trovare qualcosa, a dipanare qualche filo, con una sorta di epifania che avviene tra Disneyland Paris e la stazione ferroviaria. Mariangela riallaccia un rapporto positivo con il figlio; Barbara fa i conti con la figura del padre, amato-odiato per la sua freddezza e lontananza, che finalmente anch’egli, tramite una lettera, ha il coraggio di riconoscere e motivare; Silvia, insoddisfatta del suo lavoro e delle sue relazioni, con il pensiero fisso di una sorellastra che se n’è andata da casa alla morte della madre, si riconcilia con se stessa e con le mancanze della propria vita.
La scrittrice mostra anche in questo libro la propria capacità di far parlare i personaggi in modo credibile, per quanto le voci narranti siano forse un po’ troppe. C’è sempre veridicità nelle parole e quei guizzi di ironia cui ci ha abituati negli altri libri e che risollevano spesso il tono della narrazione. Ha inoltre momenti di grande introspezione e capacità di lettura dell’esperienza vitale. Insomma, un buon libro, che scorre felicemente e lieve, sapendo accennare alla complessità di ciò che ogni essere umano si porta dietro, e sempre con semplicità e sensibilità.

Alcuni passaggi, tra quelli che più mi sono sembrati efficaci.

“Barbara pensa che l’Italia è un paese gravato da una caterva di leggi e disposizioni rigorosissime, temperate però da una generale inosservanza…” (p. 37)

“Poter tornare indietro, riavvolgere il film della propria vita, rimugina tra sé Mariangela. Riandare a quando avevo davanti uno snodo di autostrade, mentre ora cammino in una mulattiera stretta e in salita. Avere cento o dieci o anche solo due possibilità di scelta.” (p. 38)

“Lui, Kelvin, che è fiero da matti del suo nome, fusion o refuso che sia tra Kevin (Costner) e Calvin (Klein). Bel ragazzo: gambe lunghe, fianchi stretti e viso trendy da fotomodello, con la barba di due giorni tenuta sotto stretto controllo. Espressivo come un fotomodello, cioè un po’ meno degli idoloni dell’isola di Pasqua, quelli che i pasqualini hanno continuato a scolpire sino a trasformarla in un deserto del Gobi australe.” (p.69)

“Lo so che è un bambino infelice, ma non posso farci niente, perché sono infelice anch’io e l’infelicità è contagiosa, come l’influenza, il morbillo e la meningite. Ma lui, credo, non è infelice sempre (…). Comunque, anch’io non è che sia sempre infelice. Quando al lavoro, mi prendo una tazza di tè con uno o l’altro dei pediatri o dei medici, prima che loro comincino a visitare, e chiacchieriamo cinque minuti del più e del meno, col telefono staccato per pigliare un po’ di respiro, be’ in quei momenti lì sono felice, o mi dimentico dell’infelicità, che è quasi la stessa cosa.” (pp.98-100) 

“Barbara procede nella fila tenendo Manuel per mano, le altre due escono. “Mi dispiace” dice Mariangela poco dopo, “dovevo restare a casa e non rovinarvi il soggiorno con la presenza del bambino.” “Lascia perdere. Le moschettiere erano e sono tre, non due.” “Ma purtroppo Manuel non è D’Artagnan.” “Ti rovina tanto la vita?” “Rovinare è una parola grossa, certo che non me la rende facile. E quando mi lascerà respirare sarò vecchia, come dice lui, o fuori mercato come dico io. Comunque beata te, che un figlio non ce l’hai.” “Avevo una quasi figlia, mia sorella, e sai com’è finita.” “Ti manca?” “Forse sì. Forse continuo ad avercela con lei proprio perché mi manca. Prima ero incazzata e basta, pensavo di lei le peggio cose, per esempio che ha preferito emigrare dove di soldi ce ne sono tanti, che magari si fa cambiare il cognome quando diventa maggiorenne. Cose così. Adesso non so.” “Be’, anche per lei è stata dura. E poi crescere è così difficile. Noi, riguardo a quello, siamo state fortunate, ma pensa a Barbara…e a Manuel. Bisogna sforzarsi di capire.” “Ma me, chi mi capisce?” “Ti devi capire da sola. Sei grande, anzi vecchia, come dice Manuel.” (pp. 284-285).

Un bel libro: 8. –
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