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venerdì 10 luglio 2020

Il fiore di carciofo





Il fiore di carciofo è tra i più belli che esistano, anche perché è inaspettato, commestibile e ha le spine. Il nome carciofo viene dall'arabo e significa "spina". La pianta è un cardo selvatico coltivata in Sicilia dall'antichità ma perfezionata dagli arabi nella forma che conosciamo oggi.
Cynar lo denomina la tassonomia, da cenere, legandolo al mito raccontato da Ovidio della bellissima ninfa dai capelli biondo cenere e dagli occhi azzurri ma con il cuore viola che rifiutò Giove. Il quale la trasformò in una pianta con le spine fuori e il cuore dolce e tenero. Come un sabra. Carciofo, fiore di cactus e fico d'India, tutte piante spinose e dure fuori, ma dolci all'interno, e che crescono alla faccia di qualsiasi povertà di terreno e di assenza di cure: a loro basta la terra.




lunedì 20 gennaio 2014

Quando ancora tutte le creature parlavano





Una leggenda cimbra

Spaccatemi in pezzi grandi, non in pezzi piccoli!

"Molti, molti anni fa, quando ancora tutte le creature parlavano, gli animali, le piante e perfino le pietre, un uomo era andato a spaccare legna. Aveva preso un piccolo tronco e lo aveva collocato sul ceppo. Quando sollevò la scure per spaccarlo, il tronco cominciò a parlare. L’uomo trattenne la scure e si chinò a sentire che cosa il tronco dicesse. Un momento dopo quello ricominciò a parlare e disse: “Spaccatemi in pezzi grandi, non in pezzi piccoli!”. Quando poi fecero il sacro Concilio di Trento, benedissero le piante, le pietre e gli animali e da allora in poi non parlarono più né piante (legni), né pietre, né bestie."

Tratto da: I racconti di Luserna, già raccolti da J. Bacher, a cura di Alfonso Bellotto, edito dal Circolo culturale M. Gandhi di Luserna e dall’Istituto di cultura cimbra “A. Dal Pozzo” di Roana.



Questo racconto è straordinario perché ci parla della separazione, di quando cioè il mondo della magia e quello della realtà si sono staccati, o, per dirla in altre parole, quando ha iniziato ad essere operativo il processo di secolarizzazione del reale. Un processo che ha eliminato dalla realtà delle cose qualsiasi residuo di panteismo, ma anche, un po’ alla volta, la possibilità di riconoscere i segni del mondo spirituale quando vanno incontro e si mostrano all’essere umano. E’ interessante che il processo sia collegato al Concilio di Trento e alla benedizione come gesto che confina le cose, le piante e gli animali in un mondo inanimato e chiuso, non più dialogante con l’uomo, non più percepibile.
Questa fiaba è sicuramente molto antica. Lo si vede nella sua brevità, quasi nell’icasticità di certe sue modalità di racconto, come l’incipit e la conclusione. Lo si vede nel fatto che è più importante il contesto (la definizione di un mondo in cui le piante parlavano) che il racconto vero e proprio (cosa è successo poi? L’uomo ha ascoltato la richiesta del tronco? Che ne ha fatto dei pezzi?).
Teologicamente parlando, che ne possiamo trarre? Che la secolarizzazione, distinguendo spietatamente tra gli esseri, ha distrutto l’incanto del mondo (permettendo l’avvento dell’età industriale), quell’incanto e quella comunione di vita che si cercherà di recuperare solo secoli dopo...in maniere diverse, a volte più, a volte meno opportune.




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