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martedì 27 dicembre 2016

Animali fantastici e dove trovarli

Di solito non commento film, ma in questo caso mi sento di dire due o tre cose.


Animali fantastici e dove trovarli è un film migliore di alcuni tra quelli della saga di Harry Potter, per il semplice fatto che non essendoci il libro come pietra di paragone il film guadagna in capacità di narrazione.
Mio figlio ha apprezzato tantissimo gli animali fantastici, che mostrano per l'ennesima volta l'inesauribile fantasia creativa di J.K. Rowling.



Io ho apprezzato i personaggi e quello che significano.
Newt è un timido patologico, un asociale con forti problemi di interazione con gli altri, che si trova a suo agio solo con le creature fantastiche. Eppure,  trova e sa valorizzare alcune persone, che diventano suoi amici, e sa dire la cruda verità quando occorre. Un protagonista inconsueto, fallato, tutt'altro che perfetto, che rimane tale per tutto il film e alla fine esce di scena senza neanche guardare la ragazza di cui si sta innamorando, un introverso che quando parla sembra piuttosto volersi tappare la bocca, ma alla fine dice cose importanti e coglie ciò che nessuno ha visto ("Per il bene superiore? Non sono uno di quei fanatici di Grindelwald"..."Inutile? Che cosa vuol dire...", mica per niente dopo queste parole sarà condannato a morte dal losco figuro interpretato da Colin Farrell): finalmente, se ne sentiva il bisogno!



Il personaggio umano (o babbano), Jacob Kowalski, non è la solita macchietta per far risaltare i pregi dell'eroe e per un contraltare comico, è davvero una brava persona, autoironica, disponibile, che si mette in gioco; la scelta dell'attore, con la sua corporatura debordante e la faccia bonacciona, è perfetta, e l'attore stesso riesce con le espressioni facciali a entrare nelle simpatie di tutti gli spettatori.


La protagonista femminile, Tina, sbaglia, commette un errore dopo l'altro, ma alla fine scopriamo che il primo errore che ha fatto, e al quale sta cercando di rimediare, è difendere un debole dalla mano che lo voleva colpire.



La sorella della protagonista si chiama Queenie, è una Legilimens, e questo è un altro elemento che mi ha colpito. Dopo HP, noi immaginavamo i Legilimens come super potenti, ai vertici delle strutture di comando del mondo magico. Lei fa la cameriera. Sembra sempre un po' svanita, anche se nei momenti importanti usa le parole giuste ("Lei sapeva solo prendere..."). E si innamora di un babbano, dicendogli che non c'è un altro come lui: perché è la bontà del cuore, la disponibilità, che lei cerca e che non aveva ancora trovato. Usa il suo potere, pare all'inizio, in modo assolutamente infantile (legge nei pensieri degli ospiti, ma in nessuna mente che le possa portare un beneficio materiale, un guadagno, una promozione sul lavoro), fino al momento in cui lo adopera per salvare sua sorella e Newt. Come a dire che non conta quanto potere hai, ma come scegli di usarlo.



Che poi è quel che vediamo alla fine: il voler prendere il potere di qualcuno, usarlo per i propri scopi, o al contrario far tacere e soffocare i doni di qualcuno, sempre per una propria volontà di dominio, sono entrambe scelte che portano alla distruzione e all'odio.
Saper tutelare i piccoli, che siano umani o altre creature, porta alla compassione, all'intelligenza, al capire e alla salvezza.
Quando Grindelwald mostra la sua forza, è grazie a un velenottero che Newt riesce a fermarlo, quando nessun auror ci stava riuscendo. E grazie a un'altra creatura fantastica salva la segretezza dei maghi.
Alcune immagini sono molto evocative: l'edificio che ospita il congresso dei maghi americani, la ricostruzione di New York da parte dei maghi, il laboratorio/ricovero per animali che si trova nella valigia di Newt, la scena della soffitta con l'enorme animale che finisce in una teiera, la pasticceria con le pagnotte e le paste fatte a forma di animali fantastici.



Lo stesso uso del colore, così vivido e intenso per il mondo dei maghi e invece vuoto, grigiastro per i salemiani e gli uomini di potere di New York, fa risaltare la contrapposizione tra ciò che dà gioia e ciò che dà tristezza, senza manicheismi: i grandi magazzini, il negozio di pasticceria, la banca, le strade sono tutti luoghi colorati e belli, mentre la riunione di maghi e gli scantinati dell'edificio che ospita il congresso magico, come anche la stanza delle esecuzioni capitali, sono luoghi tetri, bui o immacolati ma asettici, angusti.
E infine, ciò che di bene viene scambiato non va perduto: Newt ha trovato amici e amore e anche Jacob  ritroverà la donna amata, e le creature fantastiche, dopo la pubblicazione del libro di Newt, speriamo non saranno più così temute, odiate, perseguitate o sfruttate (come l'Asticello doveva essere nei piani del mafioso). Perché ciascuno di essi ha un suo modo di essere speciale: basta prendersi la briga di guardare bene, capire qual è, saperlo accettare e valorizzarlo. Questo è l'insegnamento del film, ed è per questo che mi è piaciuto.

sabato 19 novembre 2011

Da Stardust a Howl a Tolkien, attraverso John Donne

Collegamenti





Leggendo Stardust di Neil Gaiman, trovo una poesia di John Donne che mi sembra di aver già letto. Strano, perché non ho alcun libro di questo poeta né mai mi è capitato di studiarlo.
Ecco la poesia (tradotta dall’inglese, suppongo all'inizio io, dal traduttore del libro, che mi pare non avere una gran vena poetica):

"Va’ ad afferrare una stella cadente,
impregna una radice di mandragola,
dimmi ove son tutti gli anni passati,
o chi fendette il piede del diavolo,
insegnami a udire il canto delle Sirene,
o a evitare la trafittura d’invidia,
e trova
qual vento
occorra per far progredire un animo onesto.

Se tu sei nato a strane visioni,
a veder cose invisibili,
cavalca notti e giorni diecimila,
finché vecchiezza nevichi su te bianchi crini;
tu, al tuo ritorno, mi racconterai
tutti i portenti strani che ti accaddero,
e giurerai
che in nessun luogo
vive donna fedele e bella.

Se ne trovi una, fammelo sapere,
dolce sarebbe un tal pellegrinaggio;
ma no, non dirmelo; io non vi andrei
anche se potessi incontrarla alla porta accanto;
per quanto fosse fedele quando tu l’incontrasti,
e lo rimanesse fino a che tu mi abbia scritto la lettera,
ella però
sarà infedele,
prima ch’io venga, a due o tre."

Improvvisamente si accende una luce…grazie alla “donna fedele e bella” e alla stella cadente, per quanto l’ultima strofa proprio non mi suoni e anzi mi dia fastidio per l’evidente misoginia.
Così corro nella mia libreria, prendo “Il castello errante di Howl” e sfoglio…e trovo. La traduzione mi sembra decisamente migliore, come ricordavo.

“Prendi una stella cadente, con tatto
Alla mandragola dona un bambino.
Gli anni passati, che fine hanno fatto?
Chi taglia al Diavolo il piede caprino?
Delle sirene come odo il canto?
E dell’invidia com’evito il pianto?
Ancora, ancora:
qual è il mulinello
Che spinge l’onesto oltre ogni tranello?

Di cosa si tratti decidilo tu,
E aggiungi, a questa, una strofa in più.”

E oltre:

“Se tu sei nato in stravaganza,
E l’invisibile il tuo occhio non manca,
Per diecimila dì e notti avanza
Finché la neve degli anni t’imbianca.
Al tuo ritorno mi racconterai
Le meraviglie del tuo viavai.
E giura: nemmeno
Su di una stella
Esiste donna fedele e bella.
Se tu…”

Siccome l’editore del libro (la Kappa Edizioni, cui dobbiamo anche Conan di Alexander Key, che la mia generazione desiderava leggere da più di venticinque anni) ha fatto un buon lavoro, alla fine inserisce una Nota, in cui ci spiega di aver adattato la poesia nella traduzione, per mantenere la rima e i doppi sensi, e ci cita anche la traduzione più nota in Italia, quella di G. Melchiori per l’edizione delle Liriche sacre e profane di Donne edita da Mondadori nel 1983. E scopriamo che è quella usata per Stardust, senza però che in questo libro neanche una nota ce lo indichi (e non si fa così!).

Ora, la traduzione di Melchiori è datata e lo si percepisce subito. Soprattutto se leggiamo (ancora grazie all’edizione Kappa) l’originale inglese:

"Go and catch a falling star,
Get with child a mandrake rott,
Tell me where all past years are,
Or who cleft the devil’s foot.
Teach me to hear the mermaids singing,
Or to keep off envy’s stinging,
And find
What wind
Serves to advance an honest mind.

If thou beest born to strange sights,
Things invisible to see,
Ride then thousand days and nights
Till age snow white hairs on thee.
Thou, when thou returnest, will tell me
All strange wonders that befelt thee,
And swear
No where
Lives a woman true, and fair.
If thou…”

Il testo è straordinariamente immediato, pur nell’abbondanza dei suoi riferimenti magico-criptici, e molto musicale.

Ma c’è un altro collegamento che vorrei fare, oltre a questo delle traduzioni.

Nei ringraziamenti alla fine di Stardust, Gaiman ne fa due che mi hanno colpito. Quello a Diana Wynne Jones, ovviamente, il cui libro è di tredici anni precedente quello di Gaiman. E poi l’altro: “Sono inoltre debitore nei confronti di Hope Mirrlees, lord Dunsany, James Branch Cabell e C.S. Lewis, ovunque essi siano, per avermi insegnato che le fiabe sono anche per gli adulti.”
Proprio qualche settimana fa ho scoperto che Lewis stesso era stato portato a questa scoperta da un altro grande della letteratura inglese, Tolkien, che ne parlò (senza dirne il nome, poi ricostruito dagli studiosi) nella conferenza Sulle fiabe. Ecco il brano, tratto da J.R.R. Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Bompiani, Milano 2004, pagg. 212/213.

“A molti la Fantasia, quest’arte sub-creativa che gioca strani tiri al mondo e a tutto ciò che è in esso, combinando nomi e ridistribuendo aggettivi, è sembrata sospetta, se non illegittima. Ad alcuni è sembrata quantomeno una follia infantile, una cosa adatta soltanto a popoli o a persone nel periodo della loro giovinezza. Per quanto riguarda invece la sua legittimità, non dirò altro, a parte citare un breve brano da una lettera che una volta mandai a un uomo che descriveva i miti e le fiabe come “menzogne”; anche se, per rendergli giustizia, egli era abbastanza gentile e abbastanza confuso da chiamare la creazione di fiabe “sussurrare una menzogna attraverso l’argento”.

“Caro Signore,” dissi, “benché sia ora lontano scacciato
l’Uomo non è del tutto perduto, né del tutto cambiato.
Dis-graziato può esserlo pure, ma non de-tronizzato,
ed i cenci della signoria di un tempo ha conservato:
l’Uomo, il Sub-creatore, è la riflessa luce
attraverso la quale dal Bianco si produce
una gamma di colori, senza fine combinati in viventi
forme che si muovono fra le menti.
Se tutte le fessure del mondo colmammo
con Elfi e Folletti, se creare osammo
gli Dei e le loro magioni dal buio e dalla luce
e seminammo semente di draghi – ciò era (a torto o a ragione)
nostro diritto. Questo diritto non è decaduto:
ancora creiamo secondo la legge che così ci ha voluto.”

La Fantasia è una naturale attività umana."

A piè di pagina c’è la Nota del curatore Christopher Tolkien: “L’argomento di questa poesia – qui citata in piccola parte – intitolata Mythopoeia (…) è la base della conversazione fra Tolkien e l’amico C.S. Lewis (l’uomo che riteneva miti e fiabe delle “menzogne”) avvenuta la sera del 19 settembre 1931 mentre passeggiavano lungo Addison Walk a Oxford. Fu in quella occasione che Tolkien “convertì” Lewis alla sua verità facendogli anche abbandonare il protestantesimo per il cattolicesimo”.

Due annotazioni. Certe chiacchierate sono talmente importanti che non solo te le ricordi anche dopo anni, ma segnano una svolta nella vita, ed è bello ricordarle così, con data e luogo, non solo per le vite dei grandi della letteratura, ma anche per le nostre. Anch’io ne ho in mente qualcuna, nella mia vita (anche se potrei dire l’anno, difficilmente il giorno).

Altra cosa. Tolkien ha insegnato a Lewis il valore della fiaba, Lewis l’ha insegnato a Gaiman. Tutti l’hanno fatto fruttificare. Sicuramente non solo loro, di cui sappiamo: molti altri forse nelle loro case, nelle loro scuole, nei circoli di amici. Questo significa che quando capiamo qualcosa, non importa se grande o piccolo, lo dobbiamo trasmettere, condividere, non ne dobbiamo essere avari né vergognosi, perché così diviene una ricchezza per tutti, un patrimonio comune che può svilupparsi ancor più.
E questa idea fu proprio il senso di una conversazione avuta a Faenza con alcuni cari amici…


  Ops! Vedo ora che ne hanno fatto una nuova traduzione, in un'edizione di Feltrinelli con prefazione di Virginia Woolf, introduzione di Giles Lytton Strachey e traduzione di Rosa Tavelli...chissà com'è tradotta qui la poesia di Howl (per me si chiamerà sempre così) in italiano?


 

Ursula K. Le Guin, Pianeta dell'esilio

Ursula K. Le Guin

Pianeta dell’esilio



Devo dire che della Le Guin avevo letto solo la saga di Terramare, cinque libri uno più bello dell'altro, che mi avevano davvero colpito. Tra l'altro li lessi nel 2000, perché finalmente a seguito del fenomeno Harry Potter (grazie! Grazie anche solo per questo!) erano stati tradotti anche i tre che non erano prima arrivati in italiano, oltre a quelli già tradotti: Il mago (che aveva avuto un notevole successo) e a Le tombe di Atuan. Ora sto recuperando le altre opere della scrittrice, che cronologicamente sono precedenti a ciò che avevo già letto, e si sente, però contengono comunque alcuni temi interessanti e che mi potrebbero servire per il corso su Religione e fantasy.

Quest'opera è bella, per quanto ancora immatura, con troppi elementi che sarebbe stato interessante approfondire e con alcuni passaggi troppo sbrigativi e veloci. Tuttavia il mondo che Le Guin dipinge, anche con pochi tratti, è particolare, sensato ed è già impregnato di quella dolorosa percezione dell’impermanenza, del crollo di ciò che si conosce e su cui ci si basa, che oggi è così presente nel nostro quotidiano. Gli accenni alla storia precedente, alla terra d’origine lontana di cui nessuno sa più niente, neanche il nome o dove si trovi, e a come gli Alterra abbiano imparato, su un altro pianeta, a comunicare telepaticamente, tutto questo, per quanto sia descritto sinteticamente, riesce a essere molto suggestivo. Soprattutto è interessante la storia di come una civiltà muti; l’idea dell’adattamento al pianeta che impiega varie generazioni, ma alla fine dovrebbe portare a essere in grado di unirsi e generare con gli indigeni; l’idea che sia gli uni che gli altri definiscano sé stessi “umani” e considerino gli altri qualcosa di diverso, di meno, fino a che non  scoprono la vicinanza e la similitudine, se non l’uguaglianza; il fatto che l’autrice abbia pensato a una civiltà che si dà leggi per non “contaminare” un altro popolo. I due personaggi principali, Jacob Agat Alterra e Rolery, per quanto non approfonditi quanto avrebbe potuto, sono ben delineati e interessanti: due personaggi in cammino, che vanno scoprendo sé stessi e gli altri e il loro mondo con occhi nuovi. E inoltre, come avviene nella realtà, queste informazioni che si ricevono, queste rivelazioni cui si perviene, queste scoperte cui si approda arrivano in momenti comuni, quotidiani, mentre si è impegnati in altre cose, e spesso dalle persone che meno si vorrebbero vicine e con cui non c’è grande rapporto, ma che così divengono tasselli inseparabili dalla nostra esperienza di vita.

“- Allora, voi siete davvero caduti dal cielo? E per che motivo? Come avete fatto a venire da al di là del sole fino a qui?- - Te lo racconterò, se desideri saperlo, ma non si tratta solo di una leggenda, Rolery. Ci sono molte cose che ci sfuggono, ma ciò che sappiamo della nostra storia è vero. - - Ti ascolto – ella rispose, con la frase rituale (…). – Ecco, ci sono mondi, lontano, tra le stelle, e molte specie di uomini che vivono u di essi. Costruirono navi che potevano navigare nell’oscurità che separa i mondi, e continuarono a viaggiare, a commerciare ed esplorare. Si allearono tutti in una Lega (…), ma ci fu un nemico della Lega dei Mondi. Un nemico che giungeva da molto lontano. La distanza esatta non la so. I libri sono stati scritti per essere letti da uomini la cui conoscenza era superiore alla nostra…(…) Per lungo tempo la Lega si preparò a combattere quel nemico. I mondi più forti aiutarono quelli più deboli ad armarsi, a prepararsi. Il linguaggio mentale fu una delle abilità insegnate, a quanto so, e inoltre c’erano armi: i libri parlano di fuochi capaci di bruciare interi pianeti e di far scoppiare le stelle…Ebbene, durante questo periodo la mia gente giunse dal suo mondo natale a questo. Non erano in molti, Dovevano fare amicizia con il vostro popolo e vedere se volevate entrare a far parte della lega, per unirvi a essa contro il nemico. Ma il nemico arrivò. La nave che portava la mia gente ritornò là da dove era partita, per aiutare a combattere, e con essa ripartì una parte della gente, e così l’a…la cosa che ci permetteva di parlare lontano, che permetteva agli uomini di parlarsi da un mondo all’altro. Ma una parte delle persone rimase qui, forse per aiutare questo mondo se il nemico fosse giunto, o forse perché non poteva fare ritorno: non lo sappiamo. I nostri documenti dicono solo che la nave è partita. (…) Non sappiamo nulla di quanto possa essere successo dal giorno della partenza della nave. Alcuni di noi pensano che abbiamo perduto la guerra, e altri che l’abbiamo vinta, ma a caro prezzo, e che i pochi uomini rimasti su questo mondo siano stati dimenticati nel corso degli anni di lotta. Chi lo sa? Se sopravvivremo, un giorno lo scopriremo; e se non dovesse mai arrivare nessuno, costruiremo una nave e andremo a cercare la risposta…- Era triste, ironico.” (pagg. 67-68: questo è molto più verosimile di tanta fantascienza epica e roboante).

“Di nuovo cadde tra loro il silenzio, per alcuni istanti. – Com’era l’altro mondo…la vostra casa?-  - Ci sono delle canzoni che spiegano com’era – egli disse, ma quando ella chiese timidamente che cosa fosse una canzone, Agat non rispose. Dopo qualche tempo, egli disse: - A casa, il mondo era più vicino al suo sole, e l’intero anno durava meno di una fase lunare. Così dicono i libri. Se uno ci pensa, l’intero inverno durerebbe allora soltanto novanta giorni…- Questa osservazione li fece ridere entrambi. – Non avresti nemmeno il tempo di accendere il fuoco – commentò Rolery. L’oscurità vera e propria cominciava a infilarsi nella penombra dei boschi. Il sentiero davanti a loro si fece indistinto, un debole varco fra gli alberi, che a sinistra portava alla città di lei, a destra a quella di lui. Lì, nel mezzo, c’era soltanto il vento, il buio, la solitudine. La notte s’appressava rapidamente. La notte e l’inverno e la guerra, il tempo della morte. – Ho paura dell’Inverno – ella disse, molto piano. – L’abbiamo tutti – egli rispose. – Come sarà?...Noi abbiamo conosciuto soltanto la luce del sole.” (pag 50).

“…le chiese: - Che cos’è un eroplano? – La donna dei Nati Lontano sporse un poco le labbra e disse in tono d’indifferenza: - Una cosa per viaggiare, come un…be’, voi non usate neppure le ruote, come posso dirti? Hai visto i nostri carretti? Sì? Be’, questo era un carro per viaggiare, ma volava nel cielo. (…) vedi, non sappiamo tutto ciò che dovremmo sapere sugli eroplani e su molte altre cose che un tempo appartenevano al nostro popolo, poiché quando i nostri antenati venenro qui, essi giurarono di obbedire a una legge della Lega, la quale proibiva loro di usare molte cose che erano diverse da quelle usate dal popolo indigeno. (…) Con i passare del tempo, vi avremmo insegnato il modo di costruire le cose…ad esempio, il carro a ruote. Ma la Nave partì. Coloro di noi che rimasero qui erano pochi, e non giunse parole dalla Lega, e incontrammo molti nemici, in quei giorni. (…) Fu csì che perdemmo molte conoscenze e molte capacità. (…) Nei Canoni della Legge, che studiamo da bambini, è scritto: Nessuna Religione o Congruenza dovrà essere disseminata, nessuna tecnica o teoria dovrà essere insegnata, nessun modello o sistema culturale dovrà essere esportato, né si dovrà usare il linguaggio paraverbale con esseri d’intelligenza superiore non comunicanti (…).” (pag 75: la fantascienza americana, da Star Trek, in poi, queste cose le ha proprio sviscerate).

“Incespicava un poco, per la stanchezza. Ma la notte chiara e gelida gli aveva schiarito la mente, ed egli sentiva risorgere una piccola fonte di gioia che da tempo non conosceva più. Aveva la sensazione che quel piccolo sollievo, quella leggerezza di spirito, gli venisse data dalla presenza di lei. Da molto tempo si sentiva responsabile di tutto. Ella, la straniera, la forestiera, di sangue e mentalità diversi, non condivideva il suo potere o la sua coscienza o le sue conoscenze o il suo esilio. Ella non condivideva nulla di lui, ma l’aveva incontrato e si era unita a lui completamente e istantaneamente, attraverso l’abisso della loro grande diversità: come se fosse stata quella differenza, l’estraneità tra loro, a farli incontrare, e, unendoli insieme, a liberarli.” (pag 89: bellissimo, la diversità come terreno su cui è possibile incontrarsi e legarsi, e trovare una libertà più grande di quella che si era conosciuta fino a quel momento).

“- Jacob Agat, volevo chiederti…- Nel breve periodo da cui si conoscevano, ella non aveva mai imparato bene quanti fossero i pezzi in cui si divideva il suo nome, e quali pezzi dovesse usare. – Ti ascolto – egli rispose, gravemente. – Perché non trasmettete ai Gaal il vostro linguaggio della mente? Dite loro di andarsene…di andarsene. Così come hai detto a me, sulle sabbie, di correre all’isola. Come il tuo pastore ha fatto con gli hann…- - Gli uomini non sono hann – egli rispose: ed ella si accorse che Agat era l’unico di tutti loro che parlasse del proprio popolo, e di quello di lei, e dei Gaal come se tutti fossero uomini.” (pag 124: i Gaal sono gli invasori che procedono razziando e distruggendo, gli hann sono una sorta di buoi dalle lunghe corna).
 

Terry Pratchett, A me le guardie!

Terry Pratchett 
A me le guardie! 



Ecco il primo libro della saga di Mondo Disco che si occupa della Guardia cittadina, veramente ben fatto, divertente e non convenzionale. I personaggi sono impagabili: Samuel Vimes, il Patrizio, Nobby, il sergente Colon, Carota (straordinario) e Lady Sybil Ramkin (strabiliante personaggio: una lady che è tutto tranne che chic; la scena in cui Vimes la solleva per portarla lontana dal drago è esilarante, come la gran parte delle altre che la riguardano). L’autore ha la capacità di trattare temi importanti (la democrazia, la libertà, l’uguaglianza, l’onore, lo stato della società…) senza che le riflessioni divengano mai noiose o pedanti, anzi, la trama è così ben congegnata e i personaggi sono così credibili e interessanti che la lettura scorre sempre veloce e lieve.

I protagonisti sono uomini comuni, di solito mal visti o semplicemente considerati indegni d’ogni attenzione, come dice nella dedica: “Potete chiamarli Guardie di Palazzo, Guardie Cittadine o Guardie e basta. Qualunque nome abbiano, in ogni opera di genere fantasy-eroico il loro scopo è lo stesso: più o meno al capitolo 3 (o dopo dieci minuti di film) irrompono nella stanza, attaccano l’eroe uno alla volta e vengono massacrati. Nessuno chiede mai se sono d’accordo. Questo libro è dedicato a quei nobilissimi uomini.” (pag 5).
E’ proprio vero. Chi non si è mai chiesto: ma sono stupidi? Perché non lo colpiscono mai e lui li colpisce sempre? Cosa aspettano là dietro? Perché non lo affrontano tutti insieme? Perché non gli sparano tutti insieme? Va bene l’onore, ma muoiono come mosche…

Il sergente Colon: “Quello era un uomo che amava il buio. Il sergente Colon doveva trent’anni di felice matrimonio al fatto che la signora Colon lavorava  tutto il giorno e lui tutta la notte. Comunicavano tra loro lasciandosi bigliettini. Lui le preparava il tè prima di partire di notte e lei gli lasciava la colazione pronta e calda nel forno di mattina. Avevano tre figli ormai grandi, tutti nati, immaginava Vimes, dal risultato di una corrispondenza estremamente persuasiva.” (pag. 56)

Nobby: “E poi c’era il caporale Nobbs…be’, chiunque assomigliasse a Nobby aveva infinite ragioni per non desiderare di essere visto dagli altri. (…) L’unica ragione per cui non si poteva dire che Nobby fosse prossimo al regno animale era che il regno animale si sarebbe alzato e allontanato.” (pag. 56).

Vimes, radicalmente democratico e con convinzioni egualitarie, continuamente preso tra coraggio e paura, tra intraprendenza e abulia; che secondo i suoi uomini è più sobrio della gente normale, quindi beve per tornare in pari rispetto all’alcol che ogni essere umano ha naturalmente in corpo; che ama e odia la sua città con un sentimento viscerale e acuto; che afferra mannaie dato che le preferisce alle spade e che non accetta la visione cinica sulla gente che il patrizio gli propone; che ha “uno stile cinico e graffiante”, come riconoscono i suoi uomini.

“Nessun maledetto tritone volante può mandare a fuoco la mia città.” “Pensi solo al contributo alla saga dei draghi” continuò Lady Ramkin. “Senta, se qualcuno dovrà mai mandare a fuoco questa città, quello sarò io”. (pag 149).

“Non può ridarmi il lavoro” ripeté Vimes. “Non me lo avrebbe mai potuto togliere. Non sono mai stato un ufficiale della città o un ufficiale del re o un ufficiale del Patrizio. Ero un ufficiale della Legge. Poteva anche essere corrotta e imprecisa ma era sempre legge, a suo modo. Adesso non esiste altra legge eccetto: “Ti brucio vivo se non stai attento.” Che posto ci sarebbe per me?” (pag. 277).

“Vimes mezzo corse, mezzo barcollò sui ciottoli umidi, senza fiato e senza tempo.
Non può andare così, pensò freneticamente. L’eroe se la cava sempre, ma arriva proprio all’ultimissimo istante. Solo che l’ultimissimo istante era probabilmente stato cinque minuti prima.
Io non sono un eroe. Sono fuori forma, ho bisogno di un goccetto e prendo una manciata di dollari al mese con un buono per le piume. Non è la paga di un eroe. Gli eroi ottengono regni e principesse, si allenano regolarmente e quando sorridono la luce gli scintilla sui denti, ting! Bastardi.” (pag 307).

Importante la conversazione col Patrizio alla fine della vicenda, che potrebbe essere una chiosa o una variante letterariamente leggera de La banalità del male della Arendt o di Modernità e olocausto di Bauman.

“Io credo che lei trovi la vita così problematica perché pensa che ci sono le persone buone e le persone cattive” disse il Patrizio. “Ovviamente si sbaglia. Ci sono, sempre e solo, le persone cattive, ma alcune di esse si trovano su sponde opposte”. Indicò con la mano sottile la città e si avvicinò alla finestra.
“Un grande ruggente mare di male” commentò, quasi fosse di sua proprietà. “Più basso in alcuni punti, ovviamente, ma più profondo, oh, così più profondo in altri. Ma la gente come lei mette insieme piccole zattere di regole e confuse buone intenzioni e dice, questo è l’opposto, questo trionferà, alla fine. Sbalorditivo!” Dette una amichevole pacca sulla spalla a Vimes.
“Laggiù” proseguì, “c’è gente che seguirà qualsiasi drago, venererà qualsiasi dio, tollererà ogni iniquità. Tutto a causa di una specie di monotona cattiveria quotidiana. Non la malvagità veramente alta e creativa dei grandi peccatori, ma una specie di oscurità dell’anima massificata. Si potrebbe definirlo peccato senza una traccia di originalità. Accettano il male non perché dicono  ma perché non dicono no. Mi dispiace se questo la offende” aggiunse dandogli un’altra pacca sulla spalla, “ma gente come voi ha davvero bisogno di noi”.
“Davvero, signore?” domandò Vimes pacatamente.
“Oh, sì. Noi siamo gli unici che sanno come far funzionare le cose. Vede, l’unica cosa che la gente buona sa fare bene è rovesciare quella cattiva. E in questo siete davvero bravi, glielo garantisco. Il problema però è che è l’unica cosa in cui siete bravi. Un giorno si suonano le campane e si abbatte il malefico tiranno e il giorno dopo tutti si ritrovano seduti in cerchio a lamentarsi del fatto che da quando il tiranno è stato ribaltato non c’è nessuno che porta via la spazzatura. Perché le persone cattive sanno come pianificare. Si potrebbe dire che fa parte delle specifiche. La gente buona sembra non averne il pallino”.
“Forse. Però si sbaglia sul resto!” esclamò Vimes. “E’ solo perché la gente ha paura ed è sola…”Si interruppe. La scusante sembrava piuttosto vuota, perfino a lui.
Egli alzò le spalle. “Sono soltanto persone” aggiunse. “Fanno solo quello che fanno le persone. Signore”.
Lord Vetinari gli fece un ampio sorriso.
“Ma certo, ma certo” disse. “Lei deve crederlo per forza, lo capisco. Altrimenti diventerebbe pazzo. Alrimenti penserebbe di trovarsi su un ponte sottile come una piuma sopra le volte dell’Inferno. Altrimenti l’esistenza non sarebbe che una oscura agonia e l’unica speranza sarebbe la non esistenza della vita dopo la morte. Capisco”.
Guardò la propria scrivania e sospirò. “E adesso” disse “ci sono molte cose da fare. (…) Può andare”. (…)
“Ho detto” ribadì, “che può andare”.
Vimes si fermò presso la porta.
“Ma lei ci crede davvero, signore?” domandò. “All’infinito male e alla pura oscurità?”
“Certo, certo” rispose il patrizio voltando la pagina. “E’ l’unica conclusione logica”.
“Ma lei si alza tutte le mattine dal letto, signore?”
“Eh? Sì? Dove vuole andare a parare?”
“Vorrei soltanto sapere perché, signore.”
“Oh, se ne vada, Vimes. Lei è un brav’uomo.”
(pagg. 341-342).

Grande Vimes: riesce a contrastare le ciniche parole del Patrizio attraverso: la ricerca della motivazione, la comune umanità, il fatto che un’idea o l’altra siano comunque scelte, non verità di fatto (ma lei ci crede davvero), e infine il richiamo alla scelta etica che motiva l’impegno nell’esistenza e ne svela il senso.

Inoltre, il grande protagonista del libro è il drago. Bellissima figura, rielaborata e presentata con cura.

“E’ lì che sono andati a finire i draghi.
Giacciono…
Non morti, non addormentati. Non in attesa perché ciò implicherebbe aspettative. Forse il termine che stiamo cercando è…quiescenti.
Anche se lo spazio che occupano non è come lo spazio normale, sono comunque ammassati tutti insieme. Non c’è un singolo centimetro cubo che non dia alloggio a un artiglio, un unghione, una squama o la punta di una coda così che l’effetto è quello di un disegno deformante e solo alla fine gli occhi realizzano che lo spazio fra ogni dragone è, in realtà, un altro dragone.
Potrebbero rammentare una scatola di sardine, se le sardine fossero enormi, squamose, orgogliose e arroganti.
Forse, poi, da qualche parte, c’è la chiave.” (pag 7)

“Non c’era praticamente nulla che il drago potesse fare alle persone che quelle non avessero presto o tardi già fatto l’una all’altra, spesso con entusiasmo.
Hai la sfrontatezza di essere schifiltoso, pensò il drago dentro di lui. Ma noi eravamo draghiNoi dovevamo essere crudeli, astuti, insensibili e terribiliQuesto però te lo posso dire, scimmia: (..) non ci siamo mai bruciati, torturati e massacrati a vicenda chiamando la cosa “morale”.” (pag. 256)

“Vimes guardò di sbieco la complicata scrittura.
Eppur i draghi non sono come gli unicorni, io temo. Essi dimorano in Regni definiti dai Capricci della Volontà e quindi potrebbe darsi che chiunque li richiama e fornisce loro un sentiero per raggiungere questo mondo, richiama il Drago che ha nella propria mente.
Penso quindi che i Puri di Cuore possano richiamare un Drago di Potere come Forza del Bene nel mondo (…).
Regno del capriccio, pensò Vimes. Ecco dove andavano, allora. Nelle nostre immaginazioni. E quando li richiamiamo indietro li forgiamo noi, come quando mettiamo la pasta in forme di pasticceria. Solo che qui non si ottengono omini di pan di zenzero, si ottiene quel che si è. Viene data forma alla propria oscurità…” (pagg. 342-343).

E l’invenzione dello spazio-B, una sorta di incrocio di altre dimensioni che si crea negli spazi quantici tra i libri e gli scaffali delle biblioteche.

“I libri deformano lo spazio e il tempo. Un motivo per cui i proprietari dei sopracitati negozietti angusti e disordinati di libri usati sembrano sempre un po’ fuori dal mondo è che molti di essi in effetti lo sono, essendo scivolati in questo mondo dopo avere svoltato nel punto sbagliato nelle loro librerie, in mondi in cui è pratica comune nel commercio indossare sempre pantofole di flanella e aprire il negozio soltanto quando se ne ha voglia. Ci si inoltra nello spazio-B a proprio rischio e pericolo.
Bibliotecari molto anziani, tuttavia, una volta dimostratisi capaci di eseguire valorosi atti di bibliotecarismo, vengono ammessi in un ordine segreto ed edotti nella cruda arte della sopravvivenza al d là delle Scansie che Conosciamo.” (pag 191).

Nello spazio-B il bibliotecario ha la tentazione di alterare il corso delle cose, ma…“Le tre regole dei Bibliotecari di Spazio e Tempo sono: 1) Silenzio; 2) I libri devono essere restituiti non oltre la data segnata; 3) Non interferire con la natura della causalità.” (pag. 225).
Proprio un bel libro.

Piedi d'argilla di Terry Pratchett

Terry Pratchett

Piedi d’argilla



Ho deciso di leggere uno dei libri di Terry Pratchett perché me ne hanno parlato molto bene e perché l’ho trovato in biblioteca. In realtà sapevo dell’esistenza di questa serie, ma…l’avevo sempre snobbata. Sì, lo ammetto. Pensavo che dopo Ende, Zimmer Bradley, Pullman, Le Guin, De Mari non avrei più trovato del fantasy di alto livello. O meglio, di così alto livello: cioè che non raccontasse solo una storia con personaggi mitici o di fantasia e in un luogo immaginario, più o meno riuscito, con epiche avventure eccetera, ma che parlasse anche di valori, di senso, che problematizzasse la realtà e fosse spunto per interrogativi e riflessioni. Appunto, pensavo che sarebbe stato difficile trovarne altri di tale calibro.

E invece questo libro è così, e mi è proprio piaciuto. Molto ironico, divertente in modi sempre diversi, con personaggi ben delineati e variegati e una capacità di rivisitare certe figure classiche (vampiri, nani, golem) in modo estremamente innovativo, divertente o profondo che sia di caso in caso. E riesce anche a tratteggiare bene alcuni dei difetti (o delle manie, o delle idiosincrasie) più tipici della nostra società, bollandoli con parole di un’icasticità venata di sarcasmo che raramente mi è capitato di incontrare (qualche esempio: vampiri, ghoul, zombie e spettri definiti in toto da Angua come “diversamente vivi”; la Gilda delle Ricamatrici che non ha mai cucito nulla…Ric-amatrici!). E pure l’intreccio non è male. Inoltre, l’idea delle note a pié di pagina, che avevo trovato ben utilizzata solo in Stroud (l’inarrivabile Bartimeus), qui è ugualmente raffinata e umoristica. Quindi, proprio un ottimo prodotto.

Anche perché, purtroppo, sono sempre meno i libri che riescono a farmi ridere, quindi quando ne trovo uno mi si allarga lo spirito!

Un unico peccato. Il foglio di carta che sta nella testa del golem e che gli dà vita è definito chem. Non vuole dire niente né in italiano né in inglese (dove la pronuncia è kem, ed è usato per i composti che hanno a che fare con chim-, chemical o simili), ma se invece è da leggere schem, diremmo alla francese (e saremmo confortati dal fatto che il francese è molto presente nel libro),  allora è chiaro che si tratta della parola ebraica shem, che significa “nome”…molto appropriato, il nome che dà la vita. [Vedere il post sul golem per altre informazioni riguardo alla scritture ebraica sulla fronte del Golem.] Come mai la traduttrice non l’ha capito?

Ops, ho trovato un altro errore. Pag. 327, parole del Golem: “Potrei Ucciderla. E’ Una Opzione Che Mi Risulta Disponibile In Quanto Individuo Libero Pensatore Ma Non Lo Farò Perché Io Sono Mio E Ho Effettuato Una Scelta Morale.” Ovviamente non intende dire “libero pensatore”, ma “individuo dotato di libertà di pensiero”, “persona libera e dotata di coscienza”…mi ha fatto venire in mente Boezio: l’uomo è rationalis naturae individua substantia…Pratchett l’avrà fatto apposta?

Comunque, alla fine del libro, ripercorrendo i personaggi, le loro parole e azioni, il modo in cui sono stati descritti, ci si ritrova veramente felici.

Vimes, che schiva quotidianamente assassini e preferisce portare la portantina che lo dovrebbe trasportare, che resiste stoicamente alla tentazione dell’alcol, che sembra sempre arrabbiato, inconcludente e perso e invece alla fine trae da tutto e da tutti il meglio, e che dà sfoggio di un grande senso dell’umorismo e di assennatezza di giudizio e compassione proprio quando iniziavi a pensare che fosse più che altro un gran bastardo: insomma, un gran personaggio. Senza contare il gesto di somma anarchia egualitaria che compie alla fine della vicenda.

L’Agente Carota, sempre ammodo, disponibile, comprensivo, estremamente intelligente, conoscitore di tutti e col cuore tenero: come Angua, alla fine del libro ci si continua a chiedere: ma ci è o ci fa? E’ un dono o una maledizione? In fondo è lui che libera il Golem Dorfl e che poi lo riconosce come vivo…ma che dice sempre cose che lasciano esterrefatti a domandarsi: ma lo crede davvero?!

E gli altri.

Nobbs, ladro ignorante e di poca testa, che però, di fronte alla prospettiva di essere fatto re, continua a ripetere che Vimes lo ammazzarebbe. (Parlando dell’anello d’oro che Nobbs porta al collo, e che era di suo padre: “Me lo ha lasciato in punto di morte” disse Nobby. “Be’, quando dico ‘lasciato’…” “Ti ha detto qualcosa?” “Be’, ha detto: ‘Ridammelo, ladruncolo!’…”, pag 85).

I golem, strazianti esseri costretti a vivere come automi, ritenuti macchine inanimate, che decidono di costruirsi un re nello stesso modo in cui loro stessi sono stati costruiti. In particolare Dorfl, colui che acquisterà la libertà, la possibilità di autodeterminarsi e che sceglierà non solo di provare a liberare gli animali (una scena da arca di Noé) e fermare l’omicida, ma anche di diventare Guardia (accettando anche i dibattiti teologici con Visita), e di iniziare a risparmiare per poter comprare e poi liberare gli altri golem.

La Morte, protagonista di un fulminante dialogo con il morente signor Hopkinson (Morte: TROVO CHE L’APPROCCIO MIGLIORE SIA PRENDERE LA VITA COME SI PRESENTA. Signor Hopkinson: Mi sembra davvero da irresponsabili…Morte: PER ME HA SEMPRE FUNZIONATO.). Cavolo, questo humour mi è proprio congeniale!

Detritus, Guardia troll che non brilla per sottigliezza, ma che tutti vorrebbero avere per amico (“Detritus era particolarmente bravo quando si trattava di porre domande. Ne aveva tre, di base. Erano quella diretta (Sei stato tu?), quella insistente (Sei sicuro di non essere stato tu?) e quella sottile (Sei stato tu, non è vero?). Anche se non si trattava delle domande più intelligenti mai studiate, il talento di Detritus consisteva nel continuare a porle per ore ininterrottamente fino a che non otteneva la risposta giusta che di solito era qualcosa di simile a: “Sì! Sì! Sono stato io! Sono stato io! Adesso ti prego dimmi che cosa ho fatto!” (pag 57; lo ammetto, anch’io uso il sistema della ripetizione snervante a volte, e funziona alla grande).

L’Agente Visita…“L’Agente Visita-L’Infedele-Con-Opuscoli-Informativi era un Omniano, il cui stile tradizionale di evangelizzazione era quello di torturare i non credenti con la spada. L’atteggiamento era divenuto ben più civile negli ultimi tempi, ma gli Omniani avevano mantenuto uno strenuo e infaticabile approccio alla diffusione del Verbo cambiando soltanto la natura delle armi. L’Agente Visita passava le giornate libere in compagnia del suo co-religioso Tormenta-Il-Miscredente-Con-Argomenti-Astuti, suonando campanelli e costringendo la gente di tutta la città a nascondersi dietro i mobili.” (pag 55)

E queste sono alcune perle.

“Pareva essere una malattia cronica. Era come se perfino la persona più intelligente avesse ancora il suo punticino vuoto nel cervello in cui qualcuno aveva scritto: “Re. Che bell’idea.” Chiunque avesse creato l’umanità vi aveva lasciato dentro un grosso difetto di fabbrica. Si trattava della tendenza a mettersi in ginocchio.” (pag 80).

“Ha detto alle persone: siete libere. Quelle hanno gridato Urrà, quindi ha mostrato loro quanto costa la libertà e loro l’hanno chiamato tiranno e, subito dopo averlo tradito, hanno cominciato a muoversi confusamente come pulcini nati in un pollaio che hanno visto il grande mondo all’esterno per la prima volta e vogliono tornare al caldo e richiudere la porta…” (pag 87: la difficoltà della democrazia al suo nascere).

“…esistevano gradi di nobiltà che andavano da qualcosa sopra alla regalità giù giù fino al cittadino comune e che, per quanto concerneva il Caporale Nobbs, si sarebbe dovuta coniare una categoria completamente nuova…forse quella dei comunissimi.” (pag 93).

“Migliaia di anni prima, il vecchio impero aveva instaurato la Pax Morporkia, dicendo al mondo: Non combattete o vi uccideremo. La Pax era nuovamente in voga, ma questa volta sosteneva: Se combattete, vi richiediamo indietro i soldi che vi abbiamo prestato. E, a proposito, la picca che mi stai puntando contro è mia. Ho pagato io lo scudo che tieni in mano. E togliti il mio elmetto quando parli con me, orrido debitore.” (pag 187: economia e guerra).

“Vimes era convinto che la vita fosse così piena di cose che accadevano erraticamente in ogni direzione che la possibilità che alcune di esse avessero un senso rilevante era estremamente remota. Colon, essendo di natura più ottimista e di intelletto decisamente più lento, si trovava ancora nello stadio ‘Gli Indizi sono importanti’.” (pag 252: Vimes filosofo del caos e Colon razionalista ingenuo o una sorta di parodia alla rovescia di Holmes e Watson?).

“Le Parole gli stavano attorno nell’orizzonte e andavano a salire fino al cielo. Una voce disse pacatamente: Sei padrone di te stesso. (…) Le Parole esplosero. (…) L’universo si riversò dentro. Dorfl sentì l’universo prenderlo, travolgerlo, sollevarlo…il golem si trovò in mezzo all’universo. Lo sentiva tutto attorno, ne avvertiva il ronzio, la frenesia, la vertiginosa complessità, il fragore…Non c’erano Parole fra te ed Esso. Tu appartenevi a Esso, Esso apparteneva a te. Non potevi voltarGli le spalle perché Lo ritrovavi lì, davanti a te. Dorfl era responsabile di ogni Sua minima variazione. Non potevi dire: Ho avuto ordini. Non potevi dire: Non è giusto. Non c’era nessuno a sentire. Non c’erano Parole. Tu eri padrone di te stesso. Dorfl fece orbitare un paio di soli brucianti e si abbatté di nuovo. Non era Tu non dovrai. Era Io non farò.” (pag 269: una sorta di creazione, con accenti panteistici, ma anche con un impeto morale di chiara forza autonomistica, vorrei dire un prometeismo faustiano - ma forse esagero con i riferimenti letterari).

“Il Comandante Vimes ha detto che qualcuno deve parlare anche per chi non ha voce!” Ci crede davvero, pensò Angua. Vimes ha messo delle parole nella sua, di testa. (frase di Carota a pag 306)

“Le parole nel cuore non possono essere tolte.” (Il Golem Dorfl mezzo distrutto, ma vivo, pag 313).

“Comandante Vimes, ho sempre avuto la sensazione che lei avesse una vena di anti-autoritarismo.” “Signore?” “Pare che sia riuscito a conservarla anche se lei stesso rappresenta l’autorità.” “Signore?” “E’ praticamente Zen. (…) Pare che lei abbia fatto infuriare la maggior parte delle figure a capo della città. Mi sembra davvero di non avere scelta. Da questa settimana le aumenterò lo stipendio.” (pag 332).

“Ho Spaccato La Ruota Del Mulino Ma I Golem L’Hanno Riparata. Perché? Ho Lasciato Andare Gli Animali Ma Non Hanno Fatto Altro Che Girovagare Scioccamente Senza Meta. Alcuni Di Essi Sono Addirittura Tornati Ai Recinti Del Macello. Perché?” “Benvenuto nel mondo, Agente Dorfl.” “Fa Paura Essere Liberi?” “L’Hai Detto.” “Dici Alla Gente ‘Spezzate Le Vostre Catene’ E Quella Se Ne Fa Da Sola Delle Nuove?” “Pare che sia una delle principali attività umane, sì.” Dorfl borbottò mentre ci rifletteva. “Sì,” disse alla fine. “Capisco Il Perché. La Libertà E’ Come Qualcuno Che Ti Scoperchia La Testa.” (pag 339).

Ehi, avete letto fino a qua? Allora dovete proprio procurarvi il libro, vi piacerà.

Pagelle su libri fantasy

Pagelle e giudizi su libri fantasy 
Estremamente personali, ovviamente!


Silvana De Mari
  1. L’ultimo elfo. 9

  1. L’ultimo orco. 10
  2. Gli ultimi incantesimi. 8
  3. L’ultima profezia. 7

Anita Diamant

La tenda rossa. 9



Michael Ende

La storia infinita. 10

Momo. 8,5


Neil Gaiman

Stardust. 8.

U. K. Le Guin
Saga di Terramare (Earthsea)

  1. Il mago. 8,5
  2. Le tombe di Atuan. 9
  3. La spiaggia più lontana. 10
  4. I draghi di Earthsea. 10
  5. I venti di Earthsea. 10
I doni. 8

Pianeta dell'esilio. 7


C. S. Lewis

Saga di Narnia
1. Il leone, la strega e l’armadio. 7



A. M. Matute


Dimenticato re Gudù. 6,5

C. Paolini
  1. Eragon. 6
  2. Eldest. 6,5
  3. Brisingr. 5,5


Terry Pratchett

Saga di Mondo Disco
  1. A me le guardie! 8
  2. Uomini d’arme.
  3. Piedi d’argilla. 8,5

P. Pullman

Trilogia Queste oscure materie

  1. La bussola d’oro. 9
  2. La lama sottile. 10
  3. Il cannocchiale d’ambra. 8

J. K. Rowling
  1. Harry Potter e la pietra filosofale. 10

  1. Harry Potter e la camera dei segreti. 8
  2. Harry Potter e il prigioniero di Azkaban. 8,5
  3. Harry Potter e il calice di fuoco. 8,5
  4. Harry Potter e l’ordine della fenice. 10

  1. Harry Potter e il principe mezzosangue. 9
  2. Harry Potter e i doni della morte. 10

Jonathan Stroud

Trilogia di Bartimeus

  1. L’amuleto di Samarcanda. 10
  2. L’occhio del golem. 8,5
  3. La porta di Tolomeo. 9,5

La valle degli eroi. 5,5
L’anello di Salomone. 7

L. Troisi

Cronache del mondo emerso. 5

Bruno Tognolini

Lilim del tramonto. 9
Lunamoonda. 9


J. R. R. Tolkien

Trilogia Il Signore degli anelli
  1. Il Signore degli anelli. 9
  2. La compagnia dell’anello. 8,5
  3. Il ritorno del re. 9,5
Lo hobbit. 7
Il Silmarillion. 6,5

Diana Wynne Jones

Il castello errante di Howl. 8

Marion Zimmer Bradley
Ciclo di Darkover (solo quelli che ho letto, secondo la cronologia darkovana)
  1. La signora delle tempeste. 8,5
  2. La donna del falco. 6
  3. Il sapiente di Darkover. 8,5
  4. Gli eredi di Hammerfell. 6
  5. La spada incantata. 8
  6. La torre proibita. 9
  7. I regni di Darkover. 6
  8. La città della magia. 5
  9. Le foreste di Darkover. 6
  10. Il ribelle di Thendara. 5,5
  11. La sfida degli Alton. 8
  12. La matrice ombra. 8,5
  13. Attacco a Darkover. 8

Ciclo di Avalon
  1. Le nebbie di Avalon. 9

  1. Le querce di Albion. 5
  2. La signora di Avalon. 6
  3. La sacerdotessa di Avalon. 6
Le luci di Atlantide. 6
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